Dodici trentini a Indomeni: la solidarietà con #overthefortress

«Siamo arrivati in trecento- ci ha detto Stefano Bleggi del Centro Sociale Bruno - da varie zone d’Italia

Non sarà una Pasqua all’insegna dei pranzi in famiglia o delle gite in montagna per dodici trentini che ieri sono arrivati in Grecia, a Indomeni. Sono partiti in nave, da Ancona, per raggiungere la località greca, diventata tristemente famosa per essere uno dei simboli della chiusura dell’Europa ai profughi e del mancato rispetto dei diritti umani. L’hanno fatto per consegnare a quelle persone una serie di aiuti, da vestiti a cibo a medicinali, e per vedere con i loro occhi quello che accade quotidianamente nel vasto campo, con migliaia di persone bloccate al confine tra Grecia e Macedonia.

«Siamo arrivati in trecento- ci ha detto Stefano Bleggi del Centro Sociale Bruno - da varie zone d’Italia. Dal Trentino siamo in dodici, ragazzi di vari gruppi, dal Bruno al Collettivo Refresh passando per la Polisportiva Clandestina. Abbiamo viaggiato da Ancona con la carovana #overthefortress, organizzata da Melting Pot. Resteremo fino a lunedì, per portare aiuti concreti, ma anche per testimoniare quello che sta accadendo qui».

Vedere con i propri occhi quello che i media riportano, di tanto in tanto, è completamente diverso. «Stando sul posto la percezione della gravità di quanto accade qui cambia. Stiamo monitorando da mesi, conosciamo attraverso altri ragazzi la situazione, ma esserci fa indubbiamente un certo effetto. Due aspetti mi hanno colpito: la quantità di bambini e le condizioni vergognose del campo. Qui ci sono circa diecimila persone che “vivono”, anzi, metti tra virgolette la parola vivono, perché quello, al massimo, è sopravvivere, in un enorme campo, una sorta di limbo, un girone infernale degli esclusi, in attesa di capire cosa accadrà loro. La maggior parte sono siriani, ma ci sono anche molti afgani, oltre a iracheni e iraniani. La loro nazionalità, comunque, è poco importante: la questione sono i diritti umani, non le bandiere».

Voi provate a dare un aiuto concreto, portando oggetti utili e solidarietà. «La fase di distribuzione è delicata, perché ci sono tante persone che hanno bisogno di tutto. Ci siamo organizzati per evitare resse e consegnato quanto portato con due furgoni. Poco fa abbiamo assistito a un parto all’interno di una tenda, con delle attiviste che hanno aiutato una ragazza a dare alla luce il proprio bambino. Ma le condizioni sono disumane. Queste persone, però, non demordono: vogliono stare qui e sognano di proseguire il loro viaggio. Questo fa capire quanto siano ancor più drammatiche le condizioni nei loro Paesi». 

La staffetta continuerà anche dopo lunedì. «Sì, dei ragazzi resteranno sempre qui a dare una mano e portare aiuti. Ci stiamo coordinando anche con Medici Senza Frontiere, che hanno criticato con forza le politiche europee nei confronti dei profughi. Credo che questa massiccia presenza dimostri che non c’è solo un’Europa che chiude: ci sono anche persone solidali capaci di aiutare chi ne ha bisogno».

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