Condannato a sua insaputa, in cella Indirizzo «fantasma» e niente notifiche

Ha rimediato una condanna per truffa senza saperlo. Ma la grana giudiziaria è venuta a galla prepotente il 10 febbraio scorso, quando un agente della questura si è presentato a casa sua con in mano un ordine di esecuzione, informandolo che doveva scontare 3 anni e 5 mesi in carcere su ordine del Tribunale di Ferrara.

L’uomo, un 40enne sinto residente in città, padre di sei figli, che in passato aveva avuto qualche guaio con la giustizia ma che pensava di essersi lasciato i problemi alle spalle, ha strabuzzato gli occhi, incredulo. Ma di fronte a quell’atto non c’era nulla da fare: per lui si sono aperte le porte del carcere di Spini. Una detenzione durata tre settimane, finché il suo avvocato, Francesco Moser, è riuscito a farlo scarcerare, ottenendo una riammissione in termini alla corte d’Appello di Bologna per consentire al 40enne di impugnare la sentenza di primo grado (nel frattempo peraltro il reato si è prescitto).

Questa singolare vicenda giudiziaria parte da lontano, nel 2009, quando il 40enne viene fermato dalla questura di Brescia e informato che c’è una notizia di reato a suo carico per una presunta truffa sulle case mobili compiuta il 20 ottobre 2007, nell’ambito di una indagine condotta dalla polizia di Domodossola, ma spedita alla procura di Verona. All’uomo viene dunque nominato un avvocato di ufficio di Brescia. Ma qui inizia una incredibile serie di sfortunate coincidenze.

Il legale rimette il mandato: deciso a cambiare vita, fa i bagagli, appende la toga al chiodo e si trasferisce in Cina. A quel punto subentra ovviamente un secondo legale. Riuscire a rintracciare il cliente, però, si rivela un’operazione impossibile. L’uomo, che in passato viveva in camper, aveva infatti eletto domicilio presso un campo nomadi di Brescia. Ma quell’accampamento, ritenuto abusivo, era stato sgomberato e così insieme alla sua famiglia se ne era andato.

Le notifiche per posta, ovviamente, non vanno a buon fine: il postino, a quell’indirizzo, trova solo una spianata di campagna. Il legale, al quale evidentemente l’uomo non aveva comunicato di essersi trasferito a Trento, non sa come rintracciarlo. Nel frattempo, però, la giustizia fa il suo corso. L’indagine per la presunta truffa, che vede indagato il 40enne insieme ad altri soggetti, approda in tribunale a Ferrara. Nel 2013 il processo si chiude con una condanna in contumacia a due anni e 1.200 euro di multa.

Una sentenza di cui, ovviamente, l’imputato ignora l’esistenza. Il dispositivo, pertanto, non viene impugnato e la sentenza diventa definitiva. A questo punto, iniziano i problemi. La pena, essendo superiore - seppure di poco - ai due anni, fa scattare la revoca dell’indulto per le condanne che l’uomo aveva rimediato quando era ancora minorenne. Il passato gli presenta il conto e la pena definitiva sale così a 3 anni e 5 mesi. Da scontare in carcere.

In febbraio, dunque, l’uomo viene raggiunto dall’ordine di carcerazione. Disperato, si rivolge all’avvocato Moser, che riesce a sbrogliare la situazione e farslo scarcere. Il legale solleva in particolare una questione riguardante proprio l’elezione di domicilio, fatta fare prima ancora che l’uomo venisse iscritto nel registro degli indagati. Una circostanza che per la Cassazione rende l’atto nullo. Tanto più che, in questo caso, gli uffici giudiziari coinvolti erano molteplici: il 40enne venne infatti informato di essere oggetto di una indagine della polizia di Domodossola, inviata alla procura di Verona, poi approdata a Ferrara.

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