«La libertà è come l'aria: quando manca un uomo sta male»

di Giuseppe Fin

Tante persone in centro a Trento per le celebrazioni del 25 aprile. Alle 10, il settantesimo anniversario dalla sconfitta del nazifascismo è stato ricordato con il corteo e la deposizione di corone alle lapidi a palazzo Thun, al monumento ai Caduti in piazza Portela, ex Imi in Provincia, in galleria Partigiani e in piazza Pasi. La cerimonia è stata preceduta, alle 9.15, nella chiesa Santissima Annunziata, in via Belenzani, da una messa in ricordo dei Caduti. Celebra Mons. Giuseppe Grosselli. Alle 11, al teatro Sociale, si svolgerà la cerimonia ufficiale del 25 Aprile. Interverranno il sindaco Alessandro Andreatta; Paride Gianmoena, presidente del Consorzio dei Comuni; Sandro Schmid, presidente dell’Anpi; Nicola Pifferi, presidente della Consulta provinciale degli studenti; Giuseppe Ferrandi, direttore del Museo storico; il presidente della Provincia, Ugo Rossi. In programma un’esibizione della corale Bella Ciao, con la partecipazione del corpo musicale cittadino.

LE PAROLE DI SANDRO SCHMID

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IL CORTEO CANTA BELLA CIAO

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IL CORTEO IN ZONA PORTELA

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IL DISCORSO DEL SINDACO ANDREATTA

Le date, si sa, hanno una loro aura, un loro potere suggestivo. Quest'anno più che mai: perché i settant'anni che intercorrono tra la Liberazione e questo nostro presente, tra il 1945 e il 2015, equivalgono alla larga parte della vita di un uomo. Ciò significa che ormai ben pochi protagonisti della Resistenza sono tra noi, significa che gli ultimi testimoni diretti sono quasi tutti ultranovantenni. Questo dato di fatto puramente anagrafico carica tutti noi di una grande responsabilità: la responsabilità della memoria, della testimonianza. Di più: la responsabilità della memoria e della testimonianza condivise.

E' innegabile che in questi ultimi anni lo spirito unitario e patriottico della Resistenza sia stato messo a dura prova da più parti. Da chi intendeva mettere sullo stesso piano i partigiani e i giovani di Salò. Da chi pretendeva che tutti i resistenti avessero un solo colore, una sola ideologia, un'identica motivazione. Da chi negava che nella lotta di Liberazione fossero stati commessi degli errori e anche dei crimini, e li giustificava in nome di una cinica e abominevole ragion di partito. Da chi equiparava i partigiani, tutti i partigiani, a ribelli, a sbandati senza morale. Eppure, come ha scritto il giornalista Aldo Cazzullo in un libro pubblicato di recente, la Resistenza non appartiene a questa o quella parte, non è patrimonio di una fazione: la Resistenza è di tutti. Delle donne come Ancilla Marighetto, partigiana freddata con un colpo in testa ad appena 17 anni, o come Clorinda Menguzzato, la staffetta che, per non tradire i compagni, accettò le più atroci torture e la morte. La Resistenza è dei nobili come il conte Giannantonio Manci e dei medici come Mario Pasi, dei preti come don Narciso Sordo, antifascista morto a Mauthausen. La Resistenza fu opera di comunisti e monarchici. Degli uomini di Giustizia e Libertà e degli internati militari. Dei contadini e degli operai. La Resistenza fu un'impresa corale, imperfetta come tutte le imprese umane, ma fondamentale nel senso letterale del termine: è nella Resistenza che la Repubblica trova le sue fondamenta, le sue motivazioni, il suo riscatto, dopo un Ventennio di politica scellerata, violenta e autoritaria. Senza la memoria comune della Resistenza, l'Italia perderebbe la sua ragion d'essere, come ammise all'inizio degli anni Cinquanta don Primo Mazzolari, altro prete antifascista, di fronte alle lacerazioni della guerra fredda: “Non abbiamo più un popolo, una patria un bene comune, un comune ideale – scriveva amaramente don Mazzolari – Il ricordo della Resistenza non è solo lontano, ma serve di pretesto retorico agli uni e agli altri”.

La Resistenza come “pretesto retorico” di cui scrive il sacerdote partigiano è un rischio che incombe anche per il nostro presente. Sappiamo bene che anche queste nostre celebrazioni corrono sempre il rischio di diventare esibizioni verbose. Eppure la Resistenza fu un evento che con la retorica non ha nulla a che spartire. Fu lacrime e sangue, fu sacrificio e determinazione, fu una scelta scomoda pagata spesso con la vita. Fu un ideale che si tradusse in azioni. Fu una rivolta morale. Per questo io credo che, se noi la raccontiamo ai nostri ragazzi, se nei programmi scolastici la facciamo diventare, come auspicato dal presidente della Repubblica Mattarella, “l'evento centrale della nostra storia recente”, allora la Resistenza, la guerra di Liberazione non può non entrare di diritto nella nostra biografia collettiva. Se vogliano che l'Italia sia una Patria e non solo un Paese, il 25 aprile deve diventare per tutti gli italiani quello che il 4 luglio, anniversario dell'indipendenza, è  per i cittadini degli Stati Uniti, quello che il 14 luglio è per i francesi. Il 25 aprile è la data della nostra rinascita civile: la storia dell'Italia democratica ha il suo inizio preciso in questo giorno di settant'anni fa.

Chiudo questo mio intervento rivolgendomi ai giovani qui presenti. Tra qualche anno sarete voi a governare questa città e questa Provincia, voi a presiedere l'Anpi.  Voi a raccogliere l'eredità dei vostri nonni e bisnonni, che salirono sulle montagne, che nascosero gli ebrei e gli antifascisti in soffitta, che rifiutarono di giurare fedeltà al Duce. Voi avrete l'onere e l'onore di ricordare, di far diventare i partigiani i vostri eroi. Non perché siano stati degli uomini perfetti, ma perché decenni fa, negli anni forse più buii della nostra storia, capirono qual era la parte del Bene e la scelsero, senza badare né alla propria convenienza né alla propria incolumità.

Buon 25 aprile a tutti!

LA DEPOSIZIONE DEI FIORI

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