«Sono il re di Roma»: le intercettazioni del presunto capo della «cupola nella capitale»

Le parole del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone sono inequivocabili: «Con questa operazione abbiamo risposto alla domanda se la mafia è a Roma. La risposta è che a Roma la mafia c’è». E il gip scrive che si tratta del «punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, che si sono evolute, in alcune loro componenti, nel fenomeno criminale della Banda della Magliana, definitivamente trasformate in Mafia Capitale».

Eloquenti le intercettazioni diffuse dagli inquirenti.

«È il re di Roma che viene qua, io entro dalla porta principale...». Così parlava di sé Massimo Carminati - considerato dagli inquirenti il capo di «Mafia Capitale» - in un'intercettazione telefonica dei carabinieri del Ros contenuta nell'ordinanza di circa 1.200 pagine che descrive la cupola nera di affari e crimine da lui guidata. Dopo una lunga indagine, ieri sono scattate le amnette per Carminati e altre 36 persone, mentre un'altra settantina, compresi l'ex sindaco Gianni Alemanno e esponenti dell'attuale e lla passata amministrazione, risulta indagata.

Per spiegare meglio il suo pensiero, a un interlocutore, Carminati detta il manifesto programmatico della sua organizzazione: «Nella strada tanto comandiamo sempre noi, nella strada tu c'avrai sempre bisogno».

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Era il 14 dicembre 2012 e il «nero», o «il cecato», ex militante neofascista dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari, noto gruppo eversivo) e vicino alla banda della Magliana, discuteva con Carlo Pucci - anche lui arrestato - lamentandosi dell'Ad di Eur Spa, Riccardo Mancini. Un loro uomo, secondo l'inchiesta, pure lui finito dentro. Per un mancato pagamento alle coop sociali di Salvatore Buzzi, braccio destro imprenditoriale di Carminati, quest'ultimo diceva a Pucci di ricordare a Mancini che era «un sottoposto». E aggiungeva: «Vede io che gli combino.. a me non mi rompesse il cazzo.. a me me chiudesse subito la pratica là". E poi: "E' il Re di Roma che viene qua, io vado ... entro dalla porta principale». In un'altra intercettazione Carminati diceva "passo le 'stecche' (la sua parte, a Mancini, ndr) per i lavori che fa, però l'altro giorno gli ho menato".

Il capo, secondo i pm, aveva rapporti con tutti i gruppi criminali della capitale. Con la camorra romana di Michele Senese, ad esempio. «So' contento che è uscito Michelino", diceva al suo braccio destro 'militare' Riccardo Brugia in una conversazione del gennaio 2013. E poi con il clan dei Casamonica, forte nella zona sud est, e con Ernesto Diotallevi, storico esponente della Banda della Magliana, con il quale Carminati progettava di costruire abitazioni a Riano, vicino a Roma. Luciano Casamonica avrebbe aiutato Buzzi a relazionarsi con la popolazione di un campo nomadi a Castel Romano, sulla via Pontina, per l'ampliamento del quale il gruppo criminale aveva ottenuto un appalto. Un "mediatore culturale". «Conosco bene Luciano - dice Carminati -.. cento famiglie, uno più stronzo de n'altro, tu prendi sei e poi si spostano...».

Carminati si rapportava anche con la cosiddetta Batteria di Ponte Milvio, un gruppo criminale secondo il Ros forte nella zona nord della capitale e guidato da Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, ex ultrà della Lazio, pregiudicato. «Mafia Capitale era di casa anche nel Campidoglio del sindaco Gianni Alemanno, secondo quanto emerso. Quando il gruppo vuole sbloccare un finanziamento a un imprenditore complice, Carminati chiama Antonio Lucarelli, capo della segreteria del sindaco, e quello scende le scale per dire «ho parlato con Massimo, tutto a posto domani vai..».

«Ahò, tutto a posto veramente! - commenta Buzzi -. C'hanno paura de lui c'hanno paura che cazzo devono fare qua...».

«Che te serve?», diceva Carminati al telefono, riecheggiando le parole dell'imprenditore Gaetano Caltagirone negli anni '70 all'andreottiano Franco Evangelisti. «Movimento terra, attacchinaggio manifesti? Te lo faccio io - aggiungeva Carminati -. Se vengo a sapere che te lo fa un altro è fastidioso...».

«Gli imprenditori devono essere nostri esecutori, devono lavorare per noi", ancora Carminati a Buzzi. Lo stesso i politici, pagati per i loro servigi, secondo l'accusa. Come i 10 mila euro che sarebbero andati a Eugenio Patanè del Pd. Ma anche i manager, non solo Mancini. A Franco Panzironi, Ad di Ama, municipalizzata dei rifiuti - detto 'Panza' da Carminati, andavano 15 mila euro a settimana, secondo l'accusa. E quando in Campidoglio da Alemanno si passa a Ignazio Marino, Carminati dice a Buzzi: «Bisogna vendere il "prodotto". Come le puttane mettiti una minigonna e vai a battere con questi».

È un «mondo di mezzo»  quello dove opera «Mafia Capitale», un luogo dove - scrivono i magistrati - «si compongono equilibri illeciti tra il "mondo di sopra', fatto di colletti bianchi, imprenditoria e istituzioni, e il "mondo di sotto', fatto di batterie di rapinatori, trafficanti di droga, gruppi che operano illecitamente con l'uso delle armi". É lo stesso Massimo Carminat a spiegare in un colloquio intercettato il concetto, a descrivere il funzionamento dell'associazione e del suo ruolo di «cerniera, affermano i pm tra il mondo della illegalità e quello della (apparente) legalità».

L'inchiesta giudiziaria indica la presenza di una una joint venture tra mafia, politica, pezzi di eversione di destra e criminalità. Una cupola nera che ha gestito gli affari romani per anni pilotando appalti, riciclando denaro che scotta, stringendo un patto scellerato con i clan emergenti, soprattutto quelli del litorale capitolino come i Fasciani, e con politici e burocrati spregiudicati. E, secondo la Procura di Roma, corrotti. Lo spaccato che emerge dall'operazione dei Ros "Terra di Mezzo" è quella di una Capitale della Mafia dove ogni affare veniva gestito dal malaffare. Dove quei personaggi finiti nei libri e nei film, come Carminati, ex Nar ed ex Banda della Magliana, accusato (e prosciolto per insufficienza di prove) anche dell'omicidio di due giovani a Milano nel 1978, il trentino Fausto Tinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, in realtà erano attivissimi e contemporanei. 

Ed è proprio lui, il mai domo Carminati, secondo i pm romani il vertice della holding del malaffare capitolino che da tempo inchieste e fatti di cronaca disegnano dipanando un filo nerissimo di nomi tutti un tempo gravitanti in ambienti di estrema destra: Gennaro Mokbel, ex militante nella gioventù nera romana e Marco Iannilli, commercialista, già coinvolti nella maxi truffa di 2,2 milioni di euro Fastweb-Telecom Italia Sparkle; Riccardo Mancini, ex ad di Ente Eur e fedelissimo dell'ex sindaco Alemanno, già coinvolto nell'inchiesta su una presunta tangente per la fornitura di bus per il corridoio Laurentina a Roma. E anche Franco Panzironi, ex ad di Ama, coinvolto nell'ormai famosa Parentopoli della municipalizzata romana.

Prima di approdare nella maxi inchiesta che oggi ha portato in carcere 37 persone, di cui otto ai domiciliari, e collezionato almeno cento indagati, gli intrecci pericolosi tra clan emergenti, politica e affari tutti romani erano emersi di recente soprattutto dalle indagini su un delitto "per caso", ovvero l'omicidio di Silvio Fanella, custode di un vero e proprio tesoro per conto della galassia nera romana. Fanella era il cassiere di Mokbel: un commando nel luglio scorso lo voleva prelevare dalla sua abitazione romana ma qualcosa andò storto e il tentativo di sequestro finì con la morte di Fanella. Per l'omicidio furono poi presi un ex Nar, Egidio Giuliani, e anche un ex militante di Casapound, Giovanni Battista Ceniti. E fu ritrovato anche il tesoro: 34 sacchetti con diamanti purissimi. I diamanti, secondo i magistrati, uno dei beni di lusso favoriti dal gruppo "nero" di Mokbel per riciclare i fiumi di denaro frutto di truffe e malaffare.

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