Trentino, boom dei precari Sono 37mila: più 19%

di Francesco Terreri

L’anno scorso in Trentino i lavoratori a termine, che costituiscono buona parte dei precari, hanno fatto un balzo del 18,7% passando dai 31.100 del 2016 a 36.900, con un aumento di 5.800 unità. Un dipendente ogni cinque, il 19,7% dei 187.100 occupati totali del settore privato, è a tempo determinato. Precarie sono più le donne, 20.800, che gli uomini, 16.100. Viceversa, gli addetti stabili scendono di 1.700 unità, passando da 151.900 a 150.200. Ma nel precariato va considerata anche una quota dei 47.100 lavoratori part time, quella dei sottoccupati «involontari». Poi ci sono i collaboratori parasubordinati, che sono, secondo l’Inps, 21.800 in regione, di cui circa 10 mila in provincia di Trento.

Tenendo conto di tutte queste componenti, i Consulenti del lavoro nel loro ultimo rapporto annuale stimano la quota dei contratti «non standard» in Trentino al 36,4% degli occupati. La parte interessata dal cosiddetto «decreto Dignità» del governo Conte, su cui proseguono prese di posizione e polemiche (vedi a fianco) è quella dei lavoratori a tempo determinato. Su di essi abbiamo i dati dell’Istat e le analisi dell’Agenzia del Lavoro.

Nell’ultimo rapporto sull’occupazione, aggiornato al 2016, l’Osservatorio del mercato del lavoro dell’Agenzia guidata da Riccardo Salomone parla di una «progressiva contrazione della quota di lavoro stabile, che dal 2008 al 2015 ha ceduto 3.700 posizioni a fronte del contemporaneo aumento di 4.300 sul fronte del lavoro temporaneo. Ciò ha determinato un abbassamento generale della qualità dell’occupazione nella misura in cui ha reso più frammentato il percorso lavorativo dei dipendenti e più incerto il loro futuro. Il 2016 ha contribuito ad acuire questa dinamica».

Nel 2015 gli addetti a tempo determinato erano scesi dai 32 mila del 2014 a 30.800. Nel 2016 il leggero rialzo a 31.100, nel 2017 il balzo a quasi 37 mila. Ora però, più che effetto della crisi, l’aumento del lavoro a termine è l’effetto di una ripresa non ancora consolidata, in cui le imprese assumono ma non ancora a tempo indeterminato perché non sono tranquille sulla durata della fase di crescita. Sempre secondo l’Agenzia del Lavoro, a proposito di part time, a spingere la crescita del lavoro a tempo parziale «non è stata una scelta dei lavoratori, quanto piuttosto la mancanza di alternative lavorative a tempo pieno».

Qualche segnale in controtendenza si vede nel primo trimestre di quest’anno nei dati dei Centri per l’impiego. Mentre nel 2017 l’89,3% delle nuove assunzioni era a termine e solo il 6,3% a tempo indeterminato in senso stretto (il resto è apprendistato), tra gennaio e marzo il lavoro stabile è salito al 9,5% dei nuovi assunti con un balzo del 17,5%.

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