Katia Brida, la magia del restauro degli antichi tessuti

di Chiara Turrini

«Lei è diversa da sua sorella, non possono essere trattate nello stesso modo». Katia Brida parla delle dalmatiche liturgiche che restaura come fossero delle persone, perché - spiega - il tessuto ha una propria personalità, che non può essere slegata dal contesto e da chi lo indossa o lo produce. L'arte e la storia diventano imprenditoria se ci sono competenze e passione, e in questo caso l'impresa si fa nell'Alto Garda, in un piccolo laboratorio che non ama farsi pubblicità.
Brida, originaria di Ossana, ha una carriera ventennale nel campo del restauro dei tessili antichi, e dal 2005 conduce un'attività propria ad Arco, dopo diverse esperienze tra la Toscana (alla Galleria del costume di Palazzo Pitti a Firenze e a Volterra), Roma e Milano. Si tratta dell'unico laboratorio di questo tipo in Trentino e non si fanno solo interventi di restauro e conservazione, perché Katia si occupa anche di analizzare ogni «pezzo», dargli un'identità e una storia. Quasi una filologia del tessuto, svolta attraverso microscopi, aspiratori, strumenti a ultrasuoni e naturalmente ago e filo.
E il lavoro non manca, anzi: di recente le commesse sono aumentate del 10%, è arrivata una dipendente, Mara , che affianca Katia nel lavoro quotidiano. «La gente sta riscoprendo il tessuto come simbolo di tradizioni, della comunità. Ad esempio tante parrocchie vengono da noi per restaurare paramenti liturgici. Tanti invece colgono semplicemente che i tessuti rappresentano una storia affettiva importante» dice Katia, che si è formata all'istituto Depero di Rovereto, scegliendo il restauro dei tessili grazie a una carismatica insegnante francese. E pensare che da ragazzina aveva rotto l'uncinetto che la nonna le aveva dato per imparare a fare i lavoretti. «Non è roba per te» le aveva detto la nonna solandra.
I clienti del laboratorio di Katia sono per un 25% privati. La gran parte dei pezzi da restaurare arrivano da musei ed enti: si collabora con la Soprintendenza per i beni archeologici e i beni culturali . «Oggi anche le istituzioni lavorano attivamente per la riscoperta di questi manufatti - continua, ringraziando le Soprintendenze e il museo del Buonconsiglio di Trento -, di solito questa viene considerata un'arte minore, ma basta guardare con un microscopio le trame, i fili, gli intrecci di oro minuziosi, ed è evidente che c'è una maestria». Dalle sue mani sono passati gli arazzi di Depero, paramenti liturgici antichi, la bandiera di fondazione della Sat di Trento, del 1876, che è tornata a splendere dopo che la seta del suo sfondo si era incartapecorita ed era diventata fragilissima.
Ora sui tavoli componibili del laboratorio ci sono una dalmatica con velluti del Quattrocento, una giubba dell'esercito austroungarico e innumerevoli brandelli delle divise di due soldati austriaci morti nel 1916 e ritrovati di recente sul ghiacciaio della Presena. Katia e Mara ora devono ricomporre le due uniformi come un puzzle. «Mentre per i paramenti liturgici possiamo ammirare la raffinatezza della manifattura, nel caso di questi due ragazzi c'è anche un coinvolgimento emotivo - affermano dal laboratorio - come accade spesso quando il tessuto rappresenta non solo la Storia scritta nei libri, ma quella di due diciassettenni che combattevano in alta montagna con questi tessuti addosso». Pantaloni di ortica ridicoli a fronte delle temperature del ghiacciaio, tela troppo leggera, calzini sporchi di sangue e macchie di ruggine: è la memoria della stoffa. Anche qui, come in tutti i casi, bisogna ricostruire: si fanno i rilievi del caso, si fotografano i pezzi, poi c'è la pulitura e infine il consolidamento. Questo è il mondo e il business di Katia: «Qui c'è la mia passione. Nonostante i momenti di difficoltà dati dal mercato e dall'essere anche un mamma, non molliamo, anzi».

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