Impresa trentina e assistenzialismo

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Si è concluso nei giorni scorsi il master «Re-shaping Economic Systems» organizzato da Formazione e Lavoro con il patrocinio del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento.


Per essere sostenibile nel tempo, l’azienda deve essere sostenibile finanziariamente, quindi essere efficiente. E questo vale nel pubblico come nel privato, nel profit, come nel non profit

Il senso di questo master, strutturato su sei incontri ed iniziato nello scorso mese di ottobre era di «aprire la mente» dei partecipanti a nuovi approcci alla gestione delle aziende, profit, non profit e cooperative. Il filo comune del percorso potrebbe essere individuato nella declinazione del concetto di business model sostenibile, che solo in parte ha a che fare con la sostenibilità ambientale.

IL MODELLO DI BUSINESS

Un modello di business sostenibile parte da una sostenibilità di missione: ogni azienda deve essere in grado di essere efficace, ossia di creare valore economico, ovvero valore sociale a seconda della sua natura. Una non capacità di raggiungere il suo scopo, rende l’azienda per definizione non sostenibile.

Per essere sostenibile nel tempo, l’azienda deve essere sostenibile finanziariamente, quindi essere efficiente. E questo vale nel pubblico come nel privato, nel profit, come nel non profit.

Una non sostenibilità finanziaria rende l’azienda non sostenibile, in quanto destinata a rimanere senza benzina. Chiaramente l’efficienza non deve essere fine a se stessa, ma deve essere in funzione dell’efficacia. Se ad esempio il business è in tutto o in parte basato sulla ricerca e sviluppo, sarebbe rischioso tagliare i costi di ricerca, in quanto avrebbero un impatto sull’efficacia.

Oppure cosa succederebbe se una cooperativa sociale di inserimento lavorativo tagliasse i costi di formazione degli utenti in inserimento lavorativo?

Da ultimo è necessaria una sostenibilità nei confronti degli interlocutori e dell’ambiente. Questa sostenibilità non deve essere di facciata, ma deve costituire un elemento di sviluppo strategico. Molto spesso, anche nelle università, la sostenibilità viene essenzialmente legata alla sostenibilità ambientale ed in un’ottica di mera gestione dell’immagine aziendale.

A livello internazionale ci sono innumerevoli ricerche scientifiche che trattano questo utilizzo simbolico della sostenibilità, ovvero le ipocrisie della sostenibilità e della responsabilità sociale.

Ognuna delle sei sessioni ha visto il coinvolgimento di un discussant o testimonial, in grado di portare un esempio concreto di quello che si è trattato nella sessione. In particolare, l’ultima sessione ha visto l’intervento del dottor Alessandro Berzolla, Chief Operation Officier di Dallara.

FILOSOFIA DA IMPORTARE IN TRENTINO

Questa è un’azienda che, in un approccio riduttivo, potremmo dire che produce auto da competizione. In realtà in questo intervento sono emersi innumerevoli spunti di riflessione, importabili anche in Trentino, sebbene non abbiamo un produttore di auto da corsa.

Innanzitutto l’obiettivo di Dallara non è pagare un dividendo all’imprenditore, ma di avere la cassa per investire in ricerca e sviluppo. L’imprenditore non è un filantropo, ma lavora in azienda e riceve uno stipendio adeguato al suo ruolo. Ma dopo, le risorse vengono lasciate in azienda, in quanto senza la ricerca, l’azienda perderebbe la sua sostenibilità nel tempo.

Secondo punto, la filosofia aziendale parte anche dal presupposto che oggi la competizione non è più tra aziende, ma tra territori. Concretamente questo vuol dire fare sistema all’interno di un territorio, ma a 360 gradi. Con i fornitori, con altre aziende, con la scuola.

RAPPORTI CON LE SCUOLE

Dallara ha sede nella valle del Ceno, vicino a Parma e ne è l’industria più importante. Nel tempo Dallara ha sviluppato un piccolo distretto, dove sono cresciute altre aziende il cui comun denominatore non sono le auto da corsa, ma la tecnologia.

Pensiamo ad esempio a cosa potrebbe significare fare gioco di squadra tra turismo, filiera agro-alimentare, cultura e commercio. In Emilia hanno la motor valley, noi abbiamo la valle del porfido, dove però quasi ogni imprenditore non vede al di fuori della propria cava, salvo poi chiuderla perché il business non è più sostenibile

Il rapporto con le scuole è di crescita reciproca, non ci si limita a donare alcuni pc o ospitare qualche tirocinio, ma ad una reciproca contaminazione, che non solo ha consentito di creare figure professionali interessanti, ma anche di tenere aperte scuole in un territorio che altrimenti le avrebbe perse.

NON BASTANO I TAVOLI DI CONFRONTO

Discorso simile con le università con le quali collaborano, dove non ci si è limitati, come spesso succede in Italia, a fare un bel tavolo di confronto, ma si lavora assieme, mettendo anche risorse, sia finanziarie che umane.

Quante volte affrontato questo discorso ho sentito fior di imprenditori dire «ma queste cose le deve finanziare la Provincia», oppure gestito l’atteggiamento di colleghi, a dir poco gelidi di fronte ad una sana «contaminazione» con le imprese.

La politica lì è stata tenuta fuori, è un progetto che parte dal basso e che alla fine la politica ha condiviso, ma non è partito da un piano quinquennale definito dall’assessore di turno e calato dall’alto.

Il tutto come obiettivo di dare nel tempo competitività non tanto a Dallara, ma alla motor valley dell’Emilia Romagna, dove Ferrari e Lamborghini non sono visti da Dallara come competitor, ma come colleghi con i quali fare squadra per vincere assieme.

La crescita del territorio è condizione per la crescita delle aziende e viceversa. In definitiva, l’approccio strategico di questa azienda parte dal volersi smarcare dalla logica dell’atteggiamento difensivo dove ci si arrocca sulle posizioni tagliando i costi.

STRATEGIA E TATTICA

Questo è uno dei drammi di molte imprese italiane: una bassa focalizzazione strategica che alla fine si trasforma in tattica di riduzione dei costi, che a sua volta funziona solo con economie di scala elevate, e quindi si ritorna alla quantità a basso costo che prevale sulla qualità ad un costo leggermente superiore.

La logica invece di Dallara è stata quella di cambiare gioco, individuando una nuova posizione sul mercato e trasformandosi da azienda manifatturiera in azienda basata sulla conoscenza.

Quanto si è in grado di fare sistema nella filiera agro-alimentare, magari aggiungendo a valle della stessa il commercio? Mi risulta che vi sia solo un operatore della grande distribuzione attento ai prodotti del territorio, «demonizzato» in quanto privato

Ora, cosa c’entra tutto ciò con il Trentino? Direi moltissimo, nel momento in cui la nostra attenzione passa dallo specifico business (la produzione di auto da corsa) alla visione ed alla strategia. In questi ultimi mesi quasi quotidianamente qualcuno dice, magari anche giustamente, che dobbiamo guardare all’Alto Adige: ma questa non è una competizione tra territori? E come possiamo gestire questa competizione?

LA VALLE DEL PORFIDO

Pensiamo ad esempio a cosa potrebbe significare fare gioco di squadra tra turismo, filiera agro-alimentare, cultura e commercio. In Emilia hanno la motor valley, noi abbiamo la valle del porfido, dove però quasi ogni imprenditore non vede al di fuori della propria cava, salvo poi chiuderla perché il business non è più sostenibile.

Quanto si è in grado di fare sistema nella filiera agro-alimentare, magari aggiungendo a valle della stessa il commercio? Mi risulta che vi sia solo un operatore della grande distribuzione attento ai prodotti del territorio, «demonizzato» in quanto privato.

E quanto il sistema alberghiero trentino valorizza i prodotti del territorio? Certamente vi sono numerosi esempi, ma la regola è di trovare il prodotto che costa meno, che non è certo il Trentodoc, che è basato sulla qualità.

Noi ci ostiniamo a chiedere incentivi, che vengono gestiti dalla politica, che si sente per questo gratificata, ma in un’ottica di massimizzazione del consenso, che non è necessariamente quello che serve al territorio.
L’incentivo è costoso e con un’efficacia limitata.

UN TERRITORIO CHE GIOCA IN DIFESA

Bello sarebbe provare a lasciare la politica alla finestra e vedere gli imprenditori di un territorio provare ad immaginare il futuro di questo territorio a vent’anni e tutti assieme lavorare per definire il futuro di un territorio che non può continuare a giocare in difesa.

INCAPACITÀ DELLA POLITICA

Bello sarebbe immaginare un futuro che non potrà che essere diverso dal presente e dubito fortemente sulla capacità della politica, della nostra politica, di leggere al di là del quotidiano e del proprio tornaconto elettorale e di potere. 

 

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