Imu, vince la Provincia Impiantisti devono pagare

di Angelo Conte

Le società funiviarie devono pagare gli arretrati Imu sugli impianti di risalita (stazioni di partenza e arrivo, piloni, centraline e depositi e così via). Lo stabilisce, con un giudizio che ribalta il primo grado, la commissione tributaria d’appello di Trento che ha dato così ragione alla Provincia e torto alle Funivie di Madonna di Campiglio.

L’appello ha così ribaltato la sentenza del 2014, quando, in primo grado, la Commissione tributaria aveva invece spiegato che gli impinati di risalita di Campiglio e Pinzolo sono da considerate di servizio pubblico e dovevano quindi essere esentati dall’Imu, mentre l’ufficio del Catasto di Tione aveva sostenuto la necessità di applicare la classificazione D8 e non quella E1 (trasporto pubblico) che liberava la società dall’obbligo di pagare.

Nel frattempo, la Provincia aveva fatto ricorso contro la sentenza di primo grado e, in attesa del pronunciamento d’appello, depositato nel novembre dell’anno scorso, aveva anche ottenuto la possibilità legislativa di definire in proprio l’imposta immobiliare al posto dello Stato.

Così, attraverso la legge che ha introdotto l’Imis, la Provincia da un lato ha considerato gli impianti a fune come delle strutture su cui le società impiantistiche sono tenute a pagare l’imposta. Ma dall’altro ha permesso ai Comuni che lo volessero di adottare regolamenti Imis in grado di arrivare a ridurre l’aliquota standard (attorno allo 0,8%) fino ad azzerarla. E, nel 2015, i primi a decidere in questo senso sono stati alcuni Comuni in cui la rilevanza delle società funiviarie è importante, come quello di Pinzolo, di Fai della Paganella, Andalo e Peio, mentre Brentonico aveva ridotto l’aliquota a circa la metà, portandola allo 0,46%. Poi la Provincia ha prorogato la possibilità di esenzione dal pagamento fino al 2019.

Il braccio di ferro sull’Ici prima, e sull’Imis poi, riguarda di fatto tutte le società concessionarie trentine e italiane. Avere gli impianti in una classificazione E1, ovvero di servizio di trasporto pubblico, permette per il futuro di non avere la necessità di versare Imis se dovesse essere ripristinata, ma consente poi anche di avere un argomento in più, di fronte all’ente pubblico, per sostenere la propria diversità dalle imprese puramente commerciali.

Se in primo grado la natura di trasporto pubblico era stata confermata, anche se solo per gli impianti, in appello la Commissione tributaria presieduta da Corrado Pascucci ha ribaltato la sentenza. Tra le ragioni addotte, quella per cui gli impianti delle Funivie di Campiglio non sono «ubicati in zone di collegamento con centri abitati» il «loro impiego è essenzialmente stagionale» e perché «sono destinati a servire una utenza elitaria legata a interessi sportivi e turistici» e non i cittadini nel loro insieme.

«La battaglia sull’Imis - afferma Francesco Bosco, presidente trentino dell’Anef e direttore delle Funivie di Campiglio - vale per noi ma anche per tutte le altre società impiantistiche trentine e italiane». Per questo motivo, di fronte al ko in secondo grado la società ha deciso di fare ricorso in Cassazione. Gli impiantisti ritengono infatti fondamentale che si arrivi a una giurisprudenza nazionale univoca in modo tale da avere certezze sul tipo di tassazione. Si tratta, solo per Campiglio, di una cifra di alcune decine di migliaia di euro l’anno. E l’obiettivo è di arrivare alla conferma della sentenza di primo grado, in modo da non dover dipendere ogni anno dalle decisioni delle amministrazioni. Decisioni che possono cambiare e quindi avere impatti diversi da anno in anno sui conti delle società funiviarie».

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