«Sait, tagli necessari per vivere» Il presidente Dalpalù: mercato saturo, ma un piano c'è

di Franco Gottardi

Presidente Dalpalù, i lavoratori rispondono alla mossa dell'azienda con lo sciopero. Comprensibile da parte loro...
Si può immaginare se non lo comprendo! Sono andato a dirlo ai lavoratori prima che ad altri di questo provvedimento e ho visto le loro facce. Al loro posto la manifestazione o lo sciopero li farei anch'io.
Qualche sorpresa il vostro annuncio l'ha però provocata, soprattutto per il numero di licenziamenti. E il vice presidente Olivi in particolare sollecita una riflessione sul progetto di rilancio, che deve dire se il modello cooperativo nella grande distribuzione può avere un futuro. C'è questo progetto?
Se qualcuno pensa che abbiamo buttato là questa soluzione in preda a chissà quale schizofrenia si sbaglia. È ovvio che dietro a tutto questo c'è un pensiero e uno studio approfondito, logicamente non ancora esplicitato in tutte le sue forme.
Provi innanzitutto a spiegarci come si è arrivati a questa situazione?
Quello della distribuzione alimentare è un mercato a somma zero. Se in città apre un negozio che inserisce dieci lavoratori tendenzialmente non crea dieci posti di lavoro ma solo uno spostamento perché il mercato è fatto da centomila abitanti. Non è che abbiamo la possibilità di esportare o creare nuovi bisogni. Anzi, tendenzialmente si mangia anche un po' meno. È un mercato saturo e ogni apertura sposta un po' di consumatori e di lavoratori. In queste condizioni la competizione si sposta molto sul piano della produttività e la cooperazione forse questi aspetti non li ha sempre considerati con la dovuta attenzione. Ma dobbiamo ricordarci che 130 lavoratori a casa sono tantissimi ma dall'altra parte ce ne sono altri 520. Altrimenti facciamo solo un po' di liturgie. È scioccante la cifra ma è sbagliato pensare che la cooperazione non debba passare attraverso queste forche caudine. Non è vero. Forse abbiamo pensato finora che la cooperazione sia un'ansa un po' protetta. Invece siamo sottoposti alla concorrenza del mercato come tutti gli altri.
Si può dire che la cooperazione offre un modello che in questo settore della grande distribuzione fa fatica ad adeguarsi ai tempi e alle regole dettate dal mercato?
Negli ultimi anni ho consolidato la situazione debitoria portandola dal breve al medio lungo periodo. Ci sono stati 10 milioni di perdite per svalutazioni immobiliari e qualcuno mi ha anche detto se ero matto nell'anno del rinnovo del mandato. Adesso qualcuno mi viene a chiedere perché non ci siamo mossi prima con gli esuberi. Io per primo mi metto in discussione e dico che bisogna concentrarsi nella selezione della classe dirigente. Ormai Sait è un'impresa da 300 milioni di euro e anche nelle valli non ci sono tante aziende con le dimensioni di Famiglie cooperative da 30 o 40 dipendenti. Credo che sia un po' come un'argine che si rompe. È evidente che ci sta cambiando il mondo davanti agli occhi. 
Un piano comunque c'è?
Banalmente si è toccato con 130 persone su 650 solo la parte delle strutture centrali e non i negozi. È evidente che solo questa è una indicazione precisa. Significa che lì dove si intercetta il consumatore bisogna investire. E bisogna alleggerirsi il più possibile «dietro». Dobbiamo assolutamente recuperare l'efficienza ma senza perdere attenzione sul core business che è il rapporto col consumatore finale.
E a chi dice che l'entità dei tagli è inaccettabile cosa risponde?
In termini emotivi sono d'accordo che la cosa spaventa e colpisce per le persone che possono essere coinvote. Ma dobbiamo trovare modi e formule per creare meno danno possibile. Con un obiettivo. Siccome le persone sono 650 dobbiamo mantenerci le 520, quello è l'obiettivo. Anche perché poi a valle ci sono 380 negozi con 1.600 dipendenti. È un sistema distributivo moderno? In parte sì e in parte no, ma anche il negozio del paesino svolge una funzione importante perché lì tutti gli investimenti fatti dal pubblico senza un minimo di servizio diventa inutile. Ci piacerebbe che ci fosse riconosciuto almeno quello.
C'è spazio per rimettere in rotta la barca?
Noi in sei anni abbiamo ridotto l'esposizione, facciamo però fatica a mantenere il fatturato. Nel 2014 perso il 4-5% che non siamo riusciti a recuperare. Certo i nuovi competitori specie nelle città ci sono e alle porte c'è Aldi e magari qualche veneto. I piani industriali sono condizionati anche dai benchmark di mercato. Inutile nascondere che forse il nostro è un sistema che è andato un po' al di là del giusto peso e bisogna recuperare.
Per quali motivi?
Riuscire a mantenere lavoro è una questione strategica e io mi sento addosso una responsabilità particolare. Non è che al minimo stormir di fronda si dice: tagliamo. Uno cerca di resistere ma poi dopo due o tre anni si rischia di mettere a repentaglio tutto. Perciò diventa necessario intervenire come atto di responsabilità. Noi non abbiamo azionisti da remunerare e quindi ci si prende in carico oneri che un privato non prenderebbe, come una rete di negozi decentrata e un sistema di distribuzione pseudo interna di servizio. Chiediamoci se questo è compito della cooperazione. Per me sì e non credo che aver tenuto un po' di più sia un aspetto da condannare. Chiaro che qualcuno si chiede perché non abbiamo agito prima e altri invece perché non abbiamo tenuto duro. Comunque vada sei mazzolato, ma questo lo sapevo anche prima di iniziare.

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