Consulta: stop al blocco degli stipendi pubblici

Un altro buco nei conti dello Stato dopo quello relativo alle pensioni. La Corte costituzionale, infatti, ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti statali che vari governi hanno attuato a partire dal 2009. La sentenza avrà effetto da ora in avanti e questo permetterà al tesoro di evitare i danni maggiori.

Se, come accaduto per le pensioni, fosse stato adottato il criterio della retroattività ci sarebbe stato un aggravio straordinario di 35 miliardi per il passato  con un effetto strutturale di circa 13 miliardi a partire dal 2016. In ogni caso la sentenza costerà da 5 a 7 miliardi, secondo le prime stime.

Già da domani mattina, infatti, i sindacati chiederanno l’apertura del tavolo negoziale per una trattativa che non si annuncia per niente facile. Marco Carlomagno,  segretario generale della Flp, uno dei sindacati che hanno preso parte al giudizio davanti alla Corte, è stato esplicito: «Possiamo dire da subito che giustizia è fatta ed è stata restituita ai lavoratori pubblici la dignità del proprio lavoro. Ora il governo non ha più scuse. Apra subito il negoziato e rinnovi i contratti».

Il risultato non è una sorpresa. A palazzo Chigi e al ministero dell’Economia il pessimismo era palpabile. Nel senso che il governo si attendeva l’accoglimento parziale del ricorso contro il blocco.

Per il 2016 il governo ha stimato un deficit all’1,8% del Pil. Ne consegue che anche appesantendolo  con il costo dello sblocco dei rinnovi contrattuali - per definizione pluriennali - riuscirebbe comunque a rispettare gli obbiettivi di un deficit inferiore al 3%.

Dalla sentenza emerge comunque una valutazione «politica» dei giudici della Consulta che è mancata per la sentenza sulle pensioni. La scelta di non obbligare il governo a pagare gli arretrati agli statali, infatti, evita di appesantire i conti pubblici che - altrimenti - avrebbero oltrepassato il livello del 3% di indebitamento delle pubbliche amministrazioni. E avrebbero precluso al Paese di utilizzare i margini di flessibilità previsti dai trattati Ue.

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