ChemChina avvia la scalata alla Pirelli

Il dado è tratto, ChemChina è il nuovo socio forte di Pirelli. Dopo una lunga giornata di riunioni tecniche il Cda di Camfin si è riunito in serata per il via libera definitivo all’accordo con cui trasferirà il 26,2% di Pirelli alla newco in cui il gruppo di Haidian avrà il 65% e il 35% sarà di Nefgarant (Rosneft) e Coinv (Tronchetti Provera e storici alleati, Unicredit e Intesa Sanpaolo).

«L’accordo rappresenta una grande opportunità per Pirelli. L’approccio al business e la visione strategica di Cnrc garantiscono lo sviluppo e la stabilità di Pirelli», afferma il presidente Marco Tronchetti Provera.
Sarà il veicolo Bidco a lanciare un’Opa totalitaria a 15 euro sulle azioni Pirelli e a cose fatte avrà maggioranza del capitale della Bicocca - tra il 51 ed il 65% a seconda di come andrà l’offerta pubblica mentre il titolo sarà scambiato in Piazza Affari fino al momento del ritiro. Soprattutto, in base ad un preciso accordo modificabile solo dal 90% dei voti in assemblea, sede e centro di ricerca rimarranno in Italia.

In questo modo Pirelli potrà dividersi in due, separando la produzione di pneumatici per auto e moto (Tyre) da quella per i veicoli pesanti (Truck), destinata a sua volta a combinarsi con Aeolus Tyre (ChemChina), per diventare il quarto produttore mondiale di gomme per camion. Pirelli Tyre, invece, potrebbe tornare in Borsa entro quattro anni più snella di prima, ma il condizionale in questo caso è d’obbligo.

Il meccanismo complicato messo a punto nelle ultime 24 ore da una squadra di consulenti finanziari e legali, affiancati da traduttori in russo e cinese, prevede il ritiro dalla Borsa proprio per velocizzare i tempi del riassetto industriale, che caratterizzava la strategia di Tronchetti Provera già prima dell’operazione, ma i tempi del delisting non sono certi.

All’appello manca infatti il parere dei titolari del 22,59% di Pirelli che finora hanno seguito la vicenda soltanto leggendo i giornali. Si tratta dei fondi Fil Limited ed Harbor International, rispettivamente con il 2 ed il 5,06%, di Edizione (famiglia Benetton) con il 4,6%, dei Malacalza (6,98%) e di Mediobanca (3,95%). Finora solo la famiglia Malacalza ha dato un primo segnale manifestando l’intenzione di non aderire subito all’offerta. Il gruppo ligure infatti potrebbe fare perno anche su un potenziale potere di veto sul ritiro dalla Borsa, dato dal 6,98% in suo possesso, mentre i Benetton stanno a guardare.

Nel novembre 2013 avevano piazzato un bond «equity linked» da 200 milioni di euro, rimborsabile con il 3% di Pirelli ad un valore di conversione di 13,85 euro, proprio per avviare una strategia d’uscita da un investimento di natura prettamente finanziaria.
Sulla carta i 15 euro dell’Opa sono un prezzo conveniente, ma il mercato ha già fatto capire di aspettarsi qualcosa in più, come indica la chiusura a 15,23 euro di venerdì scorso.

L’operazione che porta in Cina, sotto l’ala di una società statale, il controllo della proprietà dello storico marchio italiano si inserisce in una tendenza che sta prendendo corpo da un paio d’anni, con l’acquisizione da parte di capitali stranieri, anche giapponesi e russi, di realtà imprenditoriali italiane rilevabili a prezzi convenienti nell’attuale congiuntura.

Il mese scorso Finmeccanica e Hitachi hanno sottoscritto accordi vincolanti per l’acquisto da parte di Hitachi (con un’offerta di 1,85 miliardi di euro) dell’attuale business di AnsaldoBreda, a esclusione di alcune attività di revamping e di determinati contratti residuali; nonché dell’intera partecipazione detenuta da Finmeccanica nel capitale sociale di Ansaldo Sts, pari a circa il 40% del capitale sociale della stessa.

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