Crack dell'austriaca Hypo Bank: pagano anche creditori e correntisti

di Zenone Sovilla

Spesso mitizzata come terra felice, l’Austria in questi giorni fa segnare il non invidiabile primato del primo crack bancario di cui dovranno farsi carico anche i correntisti. A inaugurare la nuova procedura introdotta dalle regole europee varate due anni fa è Heta Asset Resolution, la bad bank della carinziana Hypo Alpe Adria, che accusa un debito di circa 11 miliardi di euro sui quali il governo di Vienna ha deciso di non intervenire, dopo aver utilizzato oltre 5 miliardi di euro negli anni precedenti per limitare la falla.

A doversi fare carico dell’enorme debito, dunque, saranno i soci dell’istitutoma anche i creditori e gli stessi correntisti che vedono dunque sfumare la vecchia garanzia sulla sicurezza dei soldi depositati in banca.

Heta Asset Resolution era subentrata nel novembre scorso alla holding del gruppo austriaco, Hypo Alpe Adria Bank International Ag, ritenuta fino a poco tempo fa solida e affidabile, molto presente anche in Italia con i suoi sportelli. La nuova società era nata, come previsto da una legge varata per affrontare questo dramma nazionale, con il compito di liquidare le sofferenze di Hypo, in Austria e all’estero. «La Heta Asset Resolution Ag è una bad bank di proprietà della Repubblica austriaca. Ha per legge il compito di valorizzare nella maniera più efficace e proficua i rapporti in sofferenza di Hypo Alpe Adria nazionalizzata nel 2009», spiegava l’istituto tre mesi fa.

Per far fronte all’indebitamento, Heta sta cercando, fra l’altro, con ovvie difficoltà, di monetizzare il patrimonio enorme di beni mobili e immobili dato in leasing a clienti insolventi anche in vari Paesi dei Balcani, in Italia e in Germania (sulla carta circa 18 miliardi di euro, che però se va bene porteranno, in un futuro lontano, circa un quarto di quella cifra).

Se da un lato l’autorità di vigilanza austriaca Fma ha congelato i debiti di Heta fino al 31 maggio 2016, dall’altro il governo, di fronte al fallimento previsto per il 17 marzo, teme ripercussioni sull’intero sistema finanziario non solo nazionale.

Comunque sia, la certezza è che si dovrà dar corso alle disposizioni adottate nell’estate 2014 dall’Ecofin che sostiuiscono il salvataggio esterno di una banca in crisi (cosiddetto «bail out») con quello interno («bail in»).
Non interviene, dunque, lo Stato facendo pagare a tutti i cittadini il crack di una banca, ma vengono invece chiamati in causa innanzitutto gli azionisti della società fallita che possono veder svanire anche l’intero capitale investito (idem per i sottoscrittori di bond).

Per quanto riguarda i correntisti, possono star tranquilli solo i risparmiatori che hanno depositi sotto i centomila euro. Per gli altri, a cominciare dai soggetti imprenditoriali, la prospettiva di rimetterci è concreta e riguarderebbe anche molte realtà italiane, considerata la forte penetrazione che Hypo ha avuto nel nostro Paese negli ultimi 10-15 anni. Furono anni di grande espansione all’estero per l’istituto carinziano, la raccolta si moltiplicò, il bilancio passo dai 5,4 miliardi del 2000 ai 43,3 del 2008; ma poi, con la crisi globale, cominciò la sofferenza, i crediti traballavano e nel 2009 la banca fu nazionalizzata, vi furono forti iniezioni di liquidità mentre prendeva corpo l’operazione di fallimento pilotato

Oggi, per soci, creditori e correntisti delle banche in rosso c’è peraltro unl limite: possono essere chiamati a partecipare al massimo fino all’8% delle passività complessive.
Va da sé che si tratterà di un iter denso di incognite, non ultime le azioni legali di correntisti e creditori riluttanti a farso carico delle perdite.

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