Paolo Rossi «improvvisatore» sabato sera in Vallarsa

di Manuela Pellanda

Sarà la verve di Paolo Rossi ad aprire la rassegna Teatro in Valle, che si muoverà quest’anno tra i teatri di Vallarsa, Terragnolo e Trambileno con un calendario di ben quattordici titoli, in programma tra ottobre e novembre.

Lo farà con lo spettacolo «L’improvvisatore. Da dove nascono i comici», in scena sabato 7 sul palcoscenico del teatro di Sant’Anna di Vallarsa (ore 20.30) nella sua unica data trentina (per prenotazioni: info@spazioelementare.it). Un appuntamento dunque da non perdere, di cui ci parla in questa intervista lo stesso Paolo Rossi.

Quella di sabato al teatro di Sant’Anna di Vallarsa sarà l’unica data trentina per «L’improvvisatore». Cosa c’è dietro la scelta di andare in scena in un teatro periferico?

Ci sono due risposte per questa domanda. La prima: è l’unico posto da cui mi hanno chiamato in Trentino. E dispiace, dopo aver avuto un buon riscontro con i miei lavori precedenti e aver avviato qui progetti che avrebbero potuto avere un seguito. I casi sono due: o ho fatto male il mio lavoro, o l’ho fatto troppo bene. Io opterei per la seconda ipotesi. Ma non voglio fare polemica. La seconda risposta, conseguente, è politica. Perché potrei fare un bel monologone di sinistra in un grande teatro, avere buoni giudizi dalla critica, prendere un bel po’ di soldi e andarmene a fine tournée ai Caraibi. Ho scelto invece di andare nelle periferie, e in questo caso proprio alla periferia dell’Impero, in un paesino sperduto (anzi, spero di trovare la strada!) e fare qualcosa di diverso.

A questo proposito, quello che proponi a Vallarsa viene da te descritto come uno spettacolo che «gioca sul confine tra un’autobiografia teatrale non autorizzata e un (quasi) manuale sulla professione del comico; o di qualsiasi mestiere che contempli l’improvvisazione». Quali sono, dunque, gli attrezzi irrinunciabili di chi si appresta a intraprendere questo mestiere?

Credo che al centro di tutto ci sia proprio l’improvvisazione, una disciplina serissima. Per questo ho ripreso ad andare con alcuni musicisti nei locali, nei pub dove si fa jazz. Alcuni artisti snobbano quest’abitudine, che io considero invece necessaria per avere il polso della realtà, del pubblico, per imparare a sperimentare. D’altra parte tutti i miei maestri - in maniera diversa - hanno avuto a che fare con l’improvvisazione: Fo, Jannacci, Gaber, ma anche Carlo Cecchi e Giorgio Strehler. Poi credo sia importante «vivere per strada», avere un rapporto con la realtà, allenarsi all’ascolto e non all’esibizione dell’io.

La tua carriera conta quasi quarant’anni di comicità. Com’è cambiato negli ultimi anni il ruolo del comico e qual è oggi il suo compito?

Ci viene imposto di essere più educati, di avvisare i genitori che si parla in modo esplicito. Stiamo vivendo in un periodo buio: sul podio vi sono potere, relazioni politiche e soldi, mentre arte e poesia si trovano agli ultimi posti. L’energia la trovi nelle periferia, dove c’è molta gente incazzata. E il nostro compito, tra gli altri, è quello di incanalarla e di raccontarla questa incazzatura.

Certo è che con l’uscita di scena di Berlusconi, la satira ha perso un importante bersaglio. Esiste oggi un personaggio politico che possa offrire altrettanto materiale su cui lavorare?

La satira oggi non va fatta sui politici, ma su di noi, che abbiamo la classe politica che ci meritiamo. Quando ho iniziato io, aveva senso prendere in giro un personaggio politico, che si offendeva alle nostre battute. Poi ha iniziato a compiacersi per la visibilità che il comico gli offriva. E ora chiede persino consigli per apparire più simpatico. Non voglio fare nomi, ma non sono pochi i colleghi, gli attori comici, che lavorano ai testi di grandi politici. Non facciamoci ingannare: sono molto più bravi di noi a far ridere. La satira deve occuparsi di altro.

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