Arriva a Trento Colin Stetson un sassofono che ne vale tre

di Fabio De Santi

I suoi concerti sono qualcosa di unico per la sua abilità nel far vivere uno strumento come il sax.
Questione di tecnica, ma anche di anima, perché il 43enne Colin Stetson nativo del Michigan, ma da tempo residente in Canada, suona lo strumento adoperando respirazione circolare, multifonìe, vocalizzazioni e percussione dei tasti. Un vero e proprio fenomeno, che dal vivo sembra una band, atteso il 5 aprile al Teatro Sanbàpolis di Trento per la rassegna Transiti, per proporre anche qualche frammento delle colonne sonore del recente horror «Hereditary» e del documentario «The War Show», premiato alla 73ª Mostra del Cinema di Venezia.

Stetson, cosa ci può dire del live che porterà in Italia?

Innanzitutto che si tratta di un solo show. Sarò on stage in perfetta solitudine, per eseguire brani tratti dai miei dischi e qualche nuovo materiale, suonando il sax basso, il sax alto e il clarinetto contrabbasso.

Nelle note dei suoi dischi è sempre specificato come siano stati registrati in presa diretta, senza successive manipolazioni: come mai segue questo processo creativo?

Ho esplorato le possibilità fisiche con i miei strumenti sin da quando ero giovane, e quindi quando ho iniziato a registrare questa musica in forma di album, non volevo perdere quella semplicità, o il carattere specifico di un singolo strumento suonato in modo estremo. Quindi, i parametri di non over dubbing o loop sono stati instillati e continuano a sfidarmi a innovare.


Come nasce la sua passione per il sax?

Sono sempre stato attratto, da questo strumento fin da ragazzo. Mi attraevano la forma e il suono del sax e più lo conoscevo e capivo, più il mio talento cresceva su di esso, il potenziale ha iniziato a diventare molto chiaro e così è stato e continua ad essere la mia voce sonora principale.

Quali sono stati i suoi punti di riferimenti musicali da ragazzo e quali invece una volta entrato nell’universo del jazz?

Ho avuto così tante ispirazioni musicali nella mia vita che è difficile da provare e riassumerle anche se posso dire che la mia più grande influenza è stata Jimi Hendrix. Artisti come Tom Waits e Nusrat Fateh Ali Khan, e band come Radiohead e Meshugah, sono nel pantheon dei musicisti che mi hanno ispirato maggiormente.

Nel suo percorso musicale anche tante collaborazioni con artisti e band celebri: quali sono i musicisti con cui si è divertito di più a suonare?

Preferirei non discutere di favoriti o preferenze, ma se mi obbligate direi che le mie collaborazioni con Tom Waits e Laurie Anderson sono state dei punti salienti della mia vita e carriera.

Da appassionati di cinema horror non si può evitare di chiederle come è nata la splendida colonna sonora di «Hereditary».
Il regista Ari Asters stava scrivendo la sceneggiatura del film mentre ascoltava la mia musica e così quando ha finito mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto ideare le musiche. Ho letto subito la sceneggiatura e l’ho subito amata, così ho iniziato a scrivere la musica del film prima che iniziassero le riprese. È stato un processo creativo fantastico e continuo e mi sono goduto ogni minuto.

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