Mario Brunello chiude i Suoni e sogna Bob Dylan sulle Dolomiti

di Fabio De Santi

Si lega al titolo «E intanto si suona» il progetto speciale che chiude l’edizione 2018 de I Suoni delle Dolomiti. L’appuntamento è quello di venerdì alle 17, a Malga Costa in Val di Sella, per un evento ideato da Mario Brunello e Alessandro Baricco. Uno spettacolo che intreccerà alle sette note, parole sui temi della guerra e della pace, legate anche ai cinque diari di guerra del soldato Alessandro Silvestri, affidate ad artisti quali Neri Marcorè, Marco Rizzi, Regis Bringolf, Danilo Rossi e Ivano Battiston. Al loro fianco anche il Signum Saxophone Quartet e Mario Brunello, direttore artistico dei Suoni, che ci anticipa quello che si vivrà a Malga Costa.

Brunello, da quali presupposti nasce «E intanto si suona»?

Le radici affondano nel 2014 con l’inizio delle celebrazioni legate alla Grande Guerra. Abbiamo pensato in quel momento come i musicisti che partecipavano ai trekking dei Suoni, provenienti da Paesi che magari si erano anche combattuti nel conflitto, si potessero ritrovare insieme per suonare e formare una sorta di Orchestra della Pace.

E come ha preso forma questo ultimo capitolo?

Quest’anno ho pensato che non si dovesse celebrare solo chi ha combattuto e ha perso la vita durante la Prima Guerra Mondiale ma anche chi si è schierato contro questa guerra, chi l’ha rifiutata, e chi magari è scappato dal fronte e chi lo fa anche oggi. In questi anni la nuova Guerra Mondiale si sta combattendo infatti in Medio Oriente, in Siria in particolare, e anche li c’è chi si rifiuta di uccidere. Ci siamo così ispirati ai diari di Alessandro Silvestri un ragazzo della Valtellina finito al fronte.

Qual è la sua testimonianza?

Alessandro Silvestri era un soldato che ha scelto di disertare per poi essere riarruolato al fronte dal quale spesso scappava per andare a suonare l’organo e trovare nella musica un’ancora di salvezza e pace rispetto alla bestialità della guerra. Il testo di Silvestri è finito sotto le cure della Scuola Holden, nelle mani di Eleonora Sottili e Emiliano Poddi,  supervisionato da Alessandro Baricco e dopo varie rielaborazioni ne è uscito una sorta di melologo. Non si tratta infatti né di un testo teatrale né di un racconto ma di qualcosa che prende il ritmo dalla musica raccontando pagine del diario con inserti legati all’attualità dei profughi siriani.

In questo spettacolo ci sono diversi elementi fra cui anche una partitura inedita di Giovanni Sollima: «Diaspora».

Avevo fin dall’inizio l’idea di proporre anche suoni legati al Medio Oriente. Un’idea che si è concretizzata all’inizio nell’opera di un giovane compositore iraniano, Arshia Samsaminia, con la sua «4our». Quella di Sollima invece è una composizione che rappresenta la contrapposizione fra due fazioni: da una parte il quartetto di sax, dall’altra il quartetto d’archi che in qualche maniera di affrontano ma poi finiscono per intrecciare le loro melodie. Al loro fianco un trio di viandanti sbandati fra violoncello, fisarmonica e contrabbasso. «Diaspora» farà da chiusa al racconto ritmato da arrangiamenti di pezzi legati all’immaginario della Grande Guerra.

Al Medio Oriente si lega anche la prima europea di una composizione del siriano Malek Jandali.

Si tratta di «On behalf of the Syrian children who are asking the world for peace» firmata da Malek Jandali pianista che ha fondato «Pianos for Peace», organizzazione che cerca di costruire fondamenta per la pace attraverso la musica e l’istruzione.

La musica in «E intanto si suona» è strumento per superare confini e differenze rileggendo un doloroso passato, ma qual è per lei la sua funzione davanti ad un tumultuoso presente fatto di nuovi nazionalismi e di crescente intolleranza?

La musica e il bello in generale nelle arti sono sempre una forma di resistenza. Oggi si sta tornando indietro senza capire che arroccarsi e chiudersi nei propri confini è una sconfitta. La musica per sua natura fa da  ponte fra le culture e tutte le assurde barriere poste dall’uomo. Abbiamo bisogno, oggi più che mai, della sua bellezza.

Venendo al suo ruolo di direttore artistico: quale bilancio si sente di fare riguardo a questa edizione?

Se devo essere sincero la mia tensione è rivolta ormai alla venticinquesima edizione targata 2019. Stiamo archiviando questa edizione con soddisfazione e con una notevole risposta da parte del pubblico. Il grande successo dei Suoni mette anche un certo timore perché c’è sempre una quantità crescente di pubblico da soddisfare ma nello stesso tempo c’è l’esigenza di guardare al contesto naturale di questo festival.

Qual è il suo sogno nel cassetto per celebrare i venticinque anni?

Portare Bob Dylan ai Suoni.

Solo un sogno?

Forse qualcosa di più.

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