Ezio Bosso e la musica da amare

di Fabio De Santi

Conto alla rovescia iniziato per l’evento clou dell’estate a Trento legato al nome di Ezio Bosso. Il pianista e compositore piemontese si calerà nel ruolo di direttore d’orchestra domenica 2 settembre in Piazza Duomo insieme ai musicisti della Stardivarifestival Chamber Orchestra impreziosita dalla presenza dalle violinista Anna Tifu. Un evento che segna l'edizione 2018 del Trento Summer Festival organizzato da Roland Barbacovi e  Alessandro Raffaelli. Un progetto dai contorni particolari come ci racconta in questa intervista Ezio Bosso.

Com’è nata la Stradivarifestival Chamber Orchestra?

È nata dall’amicizia e dalla stima reciproca: a maggio 2017 ci siamo reincontrati con un piccolo gruppetto di stimati cameristi attivi nelle migliori compagini europee, con cui avevamo condiviso un lungo passato di amicizia, tournée insieme, stanze d’albergo condivise, rocambolesche notti post concerto, tutti ex colleghi delle mia gavetta di musicista in tutte le orchestre europee ed italiane e abbiamo ritrovato tutta la sintonia del passato, la voglia di suonare insieme anche se oggi in ruoli diversi. Così abbiamo scoperto che erano tanti quelli che avrebbero partecipato volentieri ad un nuovo progetto comune, tutti di grande spessore e qualità, e il progetto è partito con l’occasione di un concerto allo StradivariFestival di Cremona, da cui il nome dell’orchestra.

In quale modo, da direttore d’orchestra, si rivolge a questi musicisti?

I nostri ruoli e le nostre professionalità non cambiano in funzione del nostro rapporto umano, anzi si illuminano. Quindi come con tutti i colleghi, con comprensione grazie alla mia lunga esperienza in orchestra che di solito manca a chi viene da una formazione più stretta, con voglia di entrare a fondo nel testo musicale, ma anche con la dovuta fermezza delle intenzioni. Sono un direttore maieutico e quindi propongo anche attraverso la narrazione i perché delle scelte. Il Direttore sa ciò che vuole e deve utilizzare ogni malia o durezza per arrivare al risultato finale: la sensibilità psicologica e diplomatica di chi sta sul podio ti indirizza volta per volta a quale sia la strada migliore per ottenere ciò che hai in mente.


Qual è la difficoltà maggiore che lei vede proprio in questo ruolo di direttore?

Cambiare molte orchestre in pochi mesi è faticoso per tante ragioni, devi cercare il suono che cerchi ma anche adattarti, perché ogni volta trovi sì dei musicisti professionisti, ma pur sempre degli esseri umani, ognuno con le proprie idee, carattere, esigenze, durezze o pigrizie, abitudini. Ogni volta è un cammino nuovo, psicologico prima, musicale poi.

Le manca il suo pianoforte quando si cala in queste vesti?

No, la mia natura, il mio mestiere è questo, la mia vita è sempre stata questa. Il pianoforte mi ha aiutato a restare attaccato alla musica e ai concerti, ma non sono un pianista e non ho mai amato suonare in concerto. Non uscirà mai dalla mia vita, ma a casa. È tutta la vita che, come diceva il mio Maestro a Vienna, “voglio suonare tutti gli strumenti” e per farlo c’è solo un modo: salire sul podio.

In occasione della Festa europea della musica lei ha sottolineato l’importanza dell’idea d’Europa: cosa pensa delle spinte nazionaliste a cui assistiamo oggi?

Ribadisco ciò che ho detto in Parlamento: un musicista non può che sentirsi cittadino del mondo, giacché da quando è bambino lavora con ragazzi che vengono da tutto il mondo, studia in giro per il mondo, viaggia continuamente per lavoro, e soprattutto suona e studia compositori di ogni provenienza geografica. Un musicista non può permettersi una visione nazionalista in senso negativo. Deve amare la propria terra come Grieg o Sibelius e aprirla, non chiuderla. Accetto solo i nazionalismi di scuola musicale dell’Ottocento. L’uso ignorante di questo termine mi spaventa.

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