Gegè Telesforo, l'energia del jazz al Dolomiti Ski Festival

di Fabio De Santi

Cultore della musica nera, compositore, polistrumentista ma anche produttore discografico, conduttore radiotelevisivo ed entertainer di talento. Sono le credenziali di Gegè Telesforo che con il suo quintetto sarà protagonista del primo evento serale del Dolomiti Ski Festival 2018 domani, alle 21, all’Auditorium Palafiemme di Cavalese.

Con Telesforo, vocalist raffinato, innovatore della tecnica «scat», capace di tenere testa a mostri sacri del jazz come Jon Hendricks, Dizzy Gillespie e Ben Sidran abbiamo parlato del live in Trentino e della sua dimensione di musicista.

Telesforo, iniziamo dal live per il Festival trentino in alta quota: che set proporrà?

«Proporremo il set che praticamente stiamo portando in giro da un po’ di tempo con una band molto affiatata e carica di energia positiva e anche di buoni sentimenti. Il repertorio ripercorre gli ultimi anni della mia carriera musicale: brani originali, composizioni del repertorio jazz e contemporaneo ma assolutamente rivisitati con l’obiettivo di regalare un’ora e mezza di  assoluto svago».

Qual è la cosa che più la diverte oggi della dimensione live?

«Il fatto di stare insieme ai miei musicisti, di continuare ad elaborare linguaggi diversi, di scoprire cose belle e di personalizzarle. Questa è la cosa che continua a mantenere alto il mio interesse nei confronti della musica, a donarmi entusiasmo per questa attività. Poi in giro si incontrano persone meravigliose, pubblici diversi e quindi, a seconda delle circostanze, un poco per esperienza e un po’ perché oramai abbiamo il fiuto, cerchiamo di rimodellare a seconda dei contesti il repertorio e la nostra musica. Quando salgo su un palco per me la regola che ci hanno insegnato i maestri americani, la old school, è che devi fare spettacolo. Non interessa che alla fine di un concerto il pubblico esclami “bravissimo” perché la cosa che mi dispiacerebbe di più e molto spesso succede, è avere come commento “sono bravissimi, però mi sono rotto le palle”. Io voglio mandare a casa la gente con la gioia di un concerto a cui loro sono invitati a partecipare”.

Lei è considerato un punto di riferimento per la tecnica «scat»: da dove è nata questa passione?

«Ho sempre avuto grande passione per la vocalità e per il jazz. Quindi mettendo insieme questi due elementi è stato naturale approfondire la conoscenza e il linguaggio della improvvisazione vocale utilizzata dai maestri del jazz. Poi musicalmente sono onnivoro per cui non propongo più di tanto l’improvvisazione nei miei concerti, più che altro mi concentro sulla forza del gruppo, sugli arrangiamenti sull’impatto emotivo che dà una band che lavora insieme quotidianamente».

Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole imparare a migliorare la sua ars canora sia nel jazz che in altre dimensioni musicali?

«Ce ne sono due, uno quello di conoscere il proprio strumento perché molte volte si canta per istinto e si dimentica che il nostro è uno strumento meraviglioso e molto delicato che va curato, scoperto quotidianamente. Il secondo è quello di ascoltare il più possibile la musica e andare a vedere concerti. Purtroppo non si può sostituire questo tipo di lezione che ci viene data direttamente dai musicisti, dai grandi maestri o dai giovani talenti. Tutto questo non può essere sostituito dalla visione di filmati su YouTube, credo ci sia bisogno senz’altro di molta applicazione... e poi l’entusiasmo e la passione personale fa sicuramente il resto».

Da tempo è Goodwill Ambassador dell’Unicef per il progetto Soundz for Children, di cui è inventore e promotore: di cosa si tratta?

«Ho fatto una semplice riflessione insieme agli amici di Unicef Italia e verificato che nella maggior parte dei casi la musica era considerata come materia di spettacolo per portare i piccoli e grandi a fare il proprio lavoro. Secondo me il ruolo della musica, soprattutto oggi in questa società che inevitabilmente sta diventando multi etnica e multi linguistica, è quello di educare le nuove generazioni ai valori e non essere solo il piacere dell’intrattenimento, lo spettacolo. La musica è un linguaggio universale capace di abbattere frontiere che sono di casta, di appartenenza, linguistiche, politiche e religiose. La musica ha come unico obiettivo il piacere della condivisione».

Lei ha lavorato insieme ad Arbore in trasmissioni come “Cari amici vicini e lontani” e nel super cult di “Quelli della Notte”: da dove nasceva la vostra alchimia?

«Il nostro segreto era la forza di un gruppo compatto e fatto da persone che avevano la stessa mentalità e lo stesso piacere del fare spettacolo, vivere in qualche modo con le stesse emozioni la vita di tutti giorni con il sorriso sulle labbra».

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