Kamaal Williams stasera al Melotti di Rovereto

di Fabio De Santi

Sotto la sigla di Henry Wu aveva colorato il cielo della musica inglese con la sua dancefloor che guardava al soul e al jazz. Poi Kamaal Williams insieme a Youssef Dayes ha dato vita ad una delle formazioni più creative del jazz contemporaneo celebrata nel 2016 dall’uscita dell’album «Black Focus».

Da ricordare che l’aftershow avrà come protagonista  un personaggio di culto come Nicky Siano fra i big dello Studio 54, la mitologica discoteca che ha fatto la storia della musica e della mondanità nella Grande Mela, proprio col ruolo di resident dj. Kamaal Williams torna in Italia in un tour che toccherà anche il Trentino questa sera, alle 21, con il set al Melotti di Rovereto per presentare anche il suo nuovo cd «Catch the loop» uscito lo scorso dicembre.

Kamaal Williams, iniziamo dal successo ottenuto con l’album Black Focus: se l’aspettava?

«Cerco di non farmi troppe aspettative in questo “gioco” legato al successo o alla celebrità di un momento. Ripongo la mia fiducia in Dio, mi metto nelle sue mani per quanto posso. Ciò che accade dipende sempre dal “grande capo” e bisogna viverlo con gioia e serenità».

Dal punto di vista dei suoni cosa c’è in questo lavoro?

«In questo secondo album, “Catch the loop” l’avere  Josh Mckenzie alle percussioni e  Pete Martin  al basso ha dato una nuova dimensione al suono e mi ha permesso di cercare anche strade che non avevo ancora percorso. Penso che che questo album sia senza alcun dubbio “raw” inteso come diretto e primordiale, legato alle atmsofere londinesi di questo terzo millennio».

Lei ha iniziato da giovanissimo a sognare nei pub: da dove è nata la sua passione per la musica?

«Mi ricordo di aver detto in una audizione nel 2009 per un diploma di musica un deciso “Farò rinascere il jazz” - sorride Kamaal Williams - e credo che in questa mia convinzione ci sia tutto».

C’è ancora qualcosa da scoprire a suo avviso nell’elettronica di oggi e nelle contaminazioni fra suoni anche verso il jazz?

«C’è sempre tanto da scoprire e mi viene da pensare che non ho neanche ancora iniziato... e questo è quello che mi da entusiasmo ogni giorno nel pensare al mio ruolo di musicista, a quello che devo creare ed esplorare. Questo mi emoziona».

Quali sono i suoi miti, gli artisti che più hanno segnato la sua musica?

«Ce ne sono tanti ma se mi costringi a citarne due direi che su tutti guardo a due artisti come Herbie Hancock e  Quincy Jones».

Cosa sta succedendo in questo 2018 scena musicale inglese «alternativa» al mainstream?

«Mi sembra un momento creativo, si respira  una bella atmosfera. Il mercato è aperto adesso... basta farsi guidare dal cuore per ascoltare la musica giusta».

Per guardare oltre la musica cosa pensa della Brexit?

«Mi tengo lontano dalla politica... fondamentalmente preferisco parlare ed esprimermi attraverso la musica, attraverso le mie composizioni attraverso le quali si può anche percepire la mia idea di mondo. Faccio quello che devo fare stando concentrato sulla musica».

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