Keith Jarrett, 70 anni in musica e fotografia

Un musicista immenso raccontato da uno straordinario fotografo. Bastano queste otto parole per commentare «Keith Jarrett, un ritratto»?

di Roberto Timo

Un musicista immenso raccontato da uno straordinario fotografo. Bastano queste otto parole per commentare Keith Jarrett, un ritratto? No, non bastano perché il libro di Roberto Masotti, edito da Arcana e uscito ieri, non è solo una raccolta di immagini come ne abbiamo viste tante, è il racconto profondo e intenso del rapporto ultraquarantennale tra due grandi artisti. Quando nel 1947, a Ravenna, nasceva Roberto Masotti, da un paio d’anni dall’altra parte dell’Atlantico, ad Allentown, Pennsylvania, sgambettava il piccolo Keith Jarrett che un anno dopo, spinto da mamma Irma, avrebbe messo per la prima volta le mani su un pianoforte. Le loro strade, per uno dei benedetti giochi del destino, si incroceranno ventidue anni dopo, nell’ottobre del 1969, al Teatro comunale di Bologna. Keith davanti alla tastiera, Roberto dietro alla macchina fotografica. Due ragazzini visionari, impastati di talento e determinazione. Sono le prime immagini scattate da Masotti a Jarrett, nell’occasione leader di un trio con Gus Nemeth al contrabbasso e Bob Ventrello alla batteria.

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Da quel giorno la musica di Keith ha viaggiato in parallelo con le foto di Roberto e tra i due è cresciuto un rapporto divenuto amicizia. Fatto raro, perché Jarrett spesso intimidisce. «I grandi personaggi, a volte, hanno un modo di essere che sembra comprimere la possibilità di comunicazione. Per risolvere il problema, allora, c’è bisogno di una distanza di sicurezza e un’obbligata discrezione. La ritualità diviene formalità sin troppo bloccata e deve sciogliersi necessariamente in espressione visiva. Se c’è un modo di superare passaggi angusti è attraverso la fotografia», spiega Masotti. Semplicemente, Keith, come tutte le persone ipersensibili, profonde e geniali, non sopporta la grettezza, le smargiassate e le intromissioni nel suo privato.

Sensibilità, garbo e raffinatezza sono caratteristiche proprie di Masotti, come uomo prima ancora che come fotografo, e inevitabilmente condizionano in positivo anche il suo lavoro. Per come li conosco, lui e Jarrett hanno in comune una naturale timidezza, che qualche superficiale scambia per alterigia, e un marcato senso dell’umorismo. Nel mondo caciarone e volgare, dove un qualsiasi idiota purché in grado di digitare anche a casaccio 140 caratteri diventa «protagonista» e «invade» la vita degli altri, Keith e Roberto sono destinati nella migliore delle ipotesi a essere catalogati sotto la voce «snob». Non stupisce che uno si sia «consegnato» spesso all’obiettivo dell’amico e che l’altro abbia saputo realizzare un flusso di immagini straordinario. Masotti ha avuto il privilegio di poter stare sul palco, luogo sacro che Jarrett ha da anni interdetto a chiunque, escluso il suo ridottissimo entourage, e da lì ha catturato l’essenza del musicista.

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Il percorso, iniziato nel 1969 e che arriva fino al 2010, alterna foto di azione nei soundcheck, durante i concerti, ritratti, narrazione. Così come le diciassette sillabe di un haiku fissano l’attimo poetico ma lasciano aperta la porta per leggerci tutto quello che c’è dietro, anche le fotografie di Masotti raccontano una storia che va oltre l’attimo dello scatto, per «aprirsi» al momento che, come sostiene il fotografo, «comprende più tempo, periodo, vita, arte». Il libro si apre con uno studio sulle mani del pianista, realizzato a Lucca nel 2002 durante un concerto del Summer Festival. Quelle mani che come ragni impazziti percorrono la tastiera e ne distillano una musica unica, inconfondibile e irripetibile. Sembra di sentirla.

Poi ecco il Jarrett ragazzo di Bologna 1969, con una improbabile giacchettina striminzita, ritratto in uno di quelli che il mitico produttore discografico George Avakian definiva «frenetici assalti alla tastiera».
Il racconto continua con il «periodo elettrico» del Miles Davis Group e qui spicca un autentico capolavoro scattato al Conservatorio Verdi di Milano nel 1971: in primo piano, gigantesca, la silhouette tutta nera e lievemente fuori fuoco del trombettista, sullo sfondo, tra le gambe di Miles, spunta un Jarrett sorridente, quasi in estasi.

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Del 1973 è, invece, il reportage realizzato a Bergamo Alta, con la famosa sequenza scattata all’ingresso delle toilette pubbliche, con Jarrett addossato al muro da una parte e la «guardiana» dall’altra. Dello stesso anno le immagini del musicista che, durante un soundcheck a Monaco di Baviera, si alterna al piano con Manfred Eicher, «inventore» della Ecm, il geniale produttore al quale dobbiamo la sterminata discografia di Jarrett dal 1971 (Facing You) a oggi. E poi Pescara e Perugia 1974, col pianista che sfoggia una perfetta capigliatura «afro», una nuvola di riccioli neri a contornare il solito sguardo di rara intelligenza.

Ci sono poi i «capitoli» sul quartetto americano del 1976 (quello con Paul Motian, Charlie Haden e Dewey Redman) e quello europeo del 1977 (completato da Jan Garbarek, Palle Danielsson e Jon Christensen). Il linguaggio del corpo di Jarrett, le sue contorsioni, la sua «sofferenza» alla tastiera sono mirabilmente catturate negli scatti di Perugia e Venezia, al Teatro Malibran, del 2001, e Lucca del 2002, anni dedicati all’insuperabile Trio con Gary Peacock e Jack DeJohnette.

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Peacock, che assieme a Jarrett e Rose Anne, la seconda moglie dalla quale Keith si è separato nel 2008, è protagonista di una foto curiosa, con i tre che su un motoscafo navigano un canale di Venezia per andare alla sala da concerto.
Sono invece del 2010 le foto che testimoniano uno dei riti più delicati e tormentati del Jarrett perfezionista e giustamente esigente: la scelta del piano. Nel Pala De André deserto è lì in piedi, amleticamente pensoso davanti a tre Steinway gran coda.
Chiude il volume una foto intima e intensa: Keith che suona quasi raggomitolato sulla tastiera. Sembra in preghiera, e sembra di sentirla uscire dalle sue meravigliose mani la melodia di una di quelle ballad stile When I Fall In Love o Ballad Of The Sad Young Man.

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Un’opera d’arte imperdibile con oltre cento immagini, in gran parte inedite, che esce in occasione dei 70 anni di Jarrett. Proprio come i due dischi che la Ecm ha deciso di pubblicare domani 8 maggio, data del compleanno che per un altro gioco del destino è anche il giorno di nascita di Akiko, la terza moglie del Maestro. Uno è di musica classica in cui Keith interpreta il concerto per piano Opera 38 di Samuel Barber e il concerto per piano n. 3 di Béla Bartòk, registrati rispettivamente nel 1984 e nel 1985.

L’altro, «Creation», è una raccolta di improvvisazioni in piano solo selezionate dai concerti di Tokyo, Toronto, Parigi e Roma tenuti tra aprile e luglio del 2014.

Un consiglio per gli amanti del genere: mettetevi comodi con il libro di Masotti tra le mani e «Creation» in sottofondo. Ascoltate le foto di Roberto e guardate la musica di Keith. Si sfioreranno le vette dell’esperienza laicamente mistica, incontrerete l’Arte ai suoi massimi livelli.
A tutti e due, grazie di esistere. E di resistere.


 

L'AUTORE

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Roberto Masotti (nella foto di Silvia Lelli) si è sempre dedicato alla documentazione e alla ricerca, attraverso il mezzo fotografico, ma anche intervenendo con scritti, interviste e articoli nel campo dello «spettacolo» e in particolare della musica jazz, contemporanea e sperimentale. Molte sue immagini sono state utilizzate dall’editoria per libri, riviste, copertine di dischi, soprattutto per la casa discografica ECM.

Il suo lavoro più noto, «You tourned the tables on me», centoquindici ritratti di musicisti contemporanei (1974-1981), è stato pubblicato nel 1995 ed esposto in numerose città europee. Con Silvia Lelli, dal 1979 al 1996 è stato fotografo ufficiale del Teatro alla Scala di Milano.

«Keith Jarrett, un ritratto» di Roberto Masotti (Arcana edizioni, 176 pagine - 35 euro)

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