Ieri la "lectio degasperiana" con la voce di Andrea Castelli a leggere le lettere dello statista

di Fabrizio Franchi

E’ toccato ad Andrea Castelli, ieri a Pieve Tesino, dare voce alle lettere che il grande statista Alcide De Gasperi scrisse negli anni. «L’agosto degasperiano», appuntamento immancabile dell’estate culturale trentina, ha visto infatti il suo clou con la «lectio degasperiana».

Solitamente in passato era affidata a qualche politico o a intellettuali di vaglia per riflettere sul mondo di oggi. Quest’anno però la Fondazione De Gasperi ha deciso un cambio di rotta, affidando la riflessione allo stesso... Alcide De Gasperi, tramite i suoi epistolari. Per fare questo si è ricorsi alla voce di Andrea Castelli che ha affrontato «L’autobiografia di una nazione» nelle lettere di De Gasperi. Si tratta di una vera rilettura della storia italiana del Novecento attraverso 30 importanti lettere dello statista, quasi tutte inedite e riportate alla luce grazie all’«Edizione nazionale dell’Epistolario di Alcide De Gasperi» che le sta digitalizzando sul portale epistolariodegasperi.it.

Le lettere sono state presentate e contestualizzate storicamente da Giuseppe Tognon, presidente della Fondazione e dell’Edizione dell’Epistolario. Mentre Castelli le interpretava, le lettere sono anche state proiettate su un maxischermo nel teatro tenda di Pieve Tesino, così che tutti hanno potuto seguire i passaggi salienti.

«Le sue lettere ci svelano un De Gasperi “altro”, diverso dall’immagine che comunemente si ha di lui. Incontriamo così - dice Tognon - un uomo energico, innamorato della sua terra e delle sue montagne, capace di alleggerire con l’ironia e con un’incredibile forza d’animo i tanti rovesci della sua vita».

Tognon, perché presentare le lettere?

Vogliamo fare parlare De Gasperi, sfruttando il fatto che l’Edizione nazionale dell’epistolario si sta rivelando una miniera. Abbiamo già messo online 1800 lettere, ci lavorano trenta ricercatori. La ricerca durerà anni. Vedendo questa immensa mole di documenti, si scopre che un grande politico per realizzare il suo disegno ha bisogno di tutta la vita e ha bisogno di ancorare questo disegno ai suoi valori, così come Adenauer, Churchill o De Gaulle. De Gasperi ha subito tanti tradimenti si è posto il problema di essere finito, già nella Grande Guerra. Abbiamo scoperto che tra il 1915 e il 1917 non è più potuto tornare in Trentino, perché gli avevano ritirato il passaporto.

Quindi erano false le accuse sui suoi “tradimenti”?

Esatto, non fu una scelta. Fu lui sempre a subire tradimenti anche dentro il Partito Popolare. Prendete la lettera del ’27 al giovane Odorizzi, che poi diventerà presidente della Regione nel dopoguerra: era esiliato in Vaticano. La sua è una lettera di un uomo di fede, fede anche nella poltiica come emancipazione. Quando nel ’43 capisce che la guerra era persa e l’Italia avrebbe pagato costi altissimi, aveva 63 anni e pensò di essere finito.

De Gasperi di rovesci ne ebbe diversi nella sua vita. Viene da pensare all’oggi, quando crediamo che siano tempi bui, mentre lui dovette affrontare davvero quella che era la “Mezzanotte del secolo”...

Già. Da dove viene la sua energia? Governava scrivendo, con una scrittura energica e colta, la parola era perorazione, era anche soave, a volte ultimativa, c’era arguzia, ma anche il giudizio netto. L’epistolario ci mostra il temperamento, la sua espressione profonda. Ci siamo resi conto che la sua forza derivava da una tranquilla forza interiore. Capì che per la prima volta i cattolici potevano essere protagonisti. Dalle lettere emerge che per De Gasperi la democrazia non era solo il voto. Sono le pagine morali che la democrazia deve avere. Studiò molto la Rivoluzione francese e l’800. Capì che i cattolici potevano incontrarsi con i laici sul fatto che la democrazia non è solo una procedura, ma è qualcosa che si alimenta, prima delle tattiche politiche. L’idea delle pagine morali è importante, ci fa capire che chi ha ambizioni politiche non può avere orgoglio, deve capire che può piegarsi, perdere e ricominciare, è l’esempio del Paese. Lui non aveva l’orgoglio di dimostrare che era il più bravo. Nell’ultimo anno della sua vita, nel ’54, il partito gli voltò le spalle. Lui però aveva capito che le relazioni internazionali sono la matrice entro cui singoli popoli svolgono la loro partita e il sovranismo non aveva senso in un mondo complesso. Non aveva senso allora, figurarsi oggi. E aveva capito che il popolo ha bisogno di una guida, perché non può autogovernarsi, non può dedicare tempo alla vita, al lavoro e al fare politica. L’idea di una democrazia diretta era quanto di più lontano da De Gasperi. Era un forte avversario del fascismo e del comunismo, ma sapeva che la strada che uno può aprire la si misura quando incroci le strade di altri ed è negli incroci che si vedono le differenze.

Queste lettere, questa spiritualità “laica” può aiutarci oggi non solo a capire, ma ad affrontare la situazione? Un momento in cui la politica sembra improvissata giorno dopo giorno senza una bussola d’orientamento?

De Gasperi aveva orrore dell’improvvisazione. La sua spiritualità non è quella di agitare la Madonna, ma è il senso della provvidenza, Non si interrogava se esiste Dio, ma trovava pace nell’affidarsi a Dio. È come Rosmini: è come se in Trentino ci fosse una radice che rende solidi e radicati questi uomini nella loro esistenza. Ha vissuto momenti straordinari, è stato al servizio di un disegno come capita una volta in un secolo, esercitando virtù e semplicità. Ha vissuto la delusione di non vedere partire l’Europa, ma aveva capito che la democrazia non è una cosa che si installa e che dura per sempre, aveva la percezione acuta che ci sono i corsi e i ricorsi della storia, che la democrazia è una impresa quotidiana, che va continuamente costruita, per fare in modo, attraverso lavoro e benessere, che ognuno trovi posto nella società.

Una domanda sulla lectio: perché affidarsi a un attore per leggere le sue lettere? Sembra una scelta spettacolare. Perché non affidarsi a uno storico?

Lo storico non legge i testi, li cita, ma dà anche una interpretazione, noi abbiamo voluto enfatizzare anche la bellezza di alcuni brani. Non volevamo alcun filtro con il pubblico. Saranno lette trenta lettere che vanno dal 1905 fino al 1954. Il pubblico tramite un maxischermo vedrà la calligrafia, le correzioni, c’è il fascino del documento.

È una scelta fatta per cercare di avvicinare quanto più possibile una massa più larga....

Mi sono posto il problema: se avessi recitato io sarei stato ridicolo. Avevamo bisogno di una voce e ci siamo detti “prendiamo un attore”. C’è una sceneggiatura, ma il protagonista è sempre De Gasperi. Mi auguro che sarà una cosa molto incalzante con squarci sulla storia italiana.

E ora le lettere saranno digitalizzate.

Sì. Abbiamo trovato lettere inedite, alla fine l’edizione nazionale conterà su 5 o 6 mila pezzi, ci sono lettere persino su Dante. Aveva una capacità di lavoro e di concentrazione straordinaria: tutti possono diventare politici, pochi degli statisti. Nel portale si vedrà il testo e vicina la trascrizione. È uno strumento unico, non c’è statista in Europa che può essere così a disposizione del pubblico e questo ci rende orgogliosi, perché una volta tanto l’Italia sta facendo una cosa unica. Abbiamo fatto la scelta del libero accesso e grazie all’intelligenza artificiale c’è un lavoro più fruibile.

Perché un attore trentino?

Perché Andrea Castelli è un grande attore e poi, perché ha la “s” trentina e non volevamo mettere nessun filtro.

L’anno venturo si torna all’antico o penserete di ripetere l’esperimento?
Questo è stato l’anno dell’inaugurazione dell’epistolario, anche grazie alla stima del presidente Mattarella. L’anno prossimo vedremo. Poi in questo momento, con la crisi politica, questa diventa una cosa efficace. Vedete, la nostra storia non nasce e non finisce con Renzi, Di Maio o Salvini...

Una postilla: De Gasperi o Degasperi?

Fino al 1943 era tutto attaccato, dopodiché lui lo ha staccato, ma se la grande storia ufficiale e la Fondazione usano De Gasperi è perché quello appartiene alla sua grande storia di statista e scriverlo tutto attaccato vuole dire tornare al periodo precedente la seconda guerra. È vero che c’è anche la storia del Degasperi, ma non quando ha firmato la Costituzione. Noi allora conserviamo la grafia consegnata alla storia, che peraltro lui in qualche occasione ha già usato anche prima della guerra. Usare il Degasperi sarebbe entrare nella sua porta d’accesso all’intimità, sarebbe trattarlo come un bocia e io da italiano voglio celebrarlo come è conosciuto in tutto il mondo.

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