Con Roberta Dapunt la musica della poesia

Roberta Dapunt è una delle più importanti poetesse viventi, non soltanto di questa particolare regione. Le sue poesie sono carne viva e corporalità, ma anche legame con il territorio, con le tradizioni della sua comunità.
Dapunt è lontana dalla ricerca della rottura, piuttosto preferisce mettere le mani dentro la terra, come aveva fatto due anni fa con una raccolta di poese, «Nauz», in cui da poetessa non si vergognava di parlare di maiali.
Già, maiali, gli animali più amati da chi coltiva la terra eppure così vilipesi. Poi è tornata a pubblicare, con Einaudi, meritoria casa editrice che ha una collana di poesia e che ha stampato il suo Sincope (80 pagine, 10 euro), una raccolta di distacco, di allontamento perché Dapunt non si preoccupa di parlare di morti, dell’estinto, più o meno «caro» a noi e alla nostra memoria.

Dapunt sarà la protagonista di un appuntamento che chiuderà un seminario di poesia che si tiene ad Arco, ogni sabato, dal 9 al 23 febbraio sulla poesia. Lei il 22 marzo, a Palazzo dei Panni (ore 17.30) sarà l’insegnante e la degna madrina di chiusura di questo seminario, in cui non serve essere poeti, ma aver solo voglia di misurarsi con questa arte.

Il seminario è organizzato dalla biblioteca civica «Bruno Emmert» di Arco in collaborazione con la Mnemoteca del Basso Sarca e propone il laboratorio Leggere, scrivere, musicare poesia, tre incontri rivolti a donne e uomini di tutte le età in biblioteca dalle 14.30 alle 18. L’occorrente per il seminario sono un quaderno da arredare con la propria passione; una propria poesia scritta, o un passo, o un tentativo; e una poesia di qualsiasi autore che in qualche modo rappresenti il partecipante. Saranno distribuite schede per gli iscritti per lavorare insieme.

Poi ci penserà Roberta Dapunt a entrare nella poesia. In quella «alta». Nativa di Badia, Dapunt ha iniziato molto giovane a comporre versi e, con il tempo, ha continuato a coltivare la poesia per raccontare di sé, della sua vita e della sua terra dura. Prima in ladino, che è poi di fatto la sua lingua madre, ma poi anche in tedesco e in italiano, lingue che lei ha definito «lingue ovvie». Lingue che hanno un suono e parole su cui lavora a lungo, le cerca, le vuole scolpite perché abbiano un suono anche nell’esprimerle ad alta voce.

Devono insomma avere una forza espressiva che la fa riconoscere, anche da altri lettori. Ha pubblicato raccolte come «OscuraMente», «La carezzata mela», «La terra più del paradiso», «Le beatitudini della malattia» e «Nauz, versi ladini», tutti versi da leggere e meditare. Ora questa sua ultima opera, «Sincope» che ha riscosso l’entusiasmo della critica letteraria e con cui ha anche vinto il premio Rèpaci. Con questa raccolta esce, come ebbe a dire, «dall’onere della vita contadina», mettendo però al centro il corpo e come ha scritto: «Sono queste le mie verità, lasciano le visioni accese persino al gelo notturno. Che nella notte, io le rumino, ma nel giorno, io di loro mi alimento».

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