Giuliano Orsingher, «genius loci» trentino

di Fiorenzo Degasperi

Da lontano sembrano pietre sospese: galleggiano tra la terra e il cielo. Sono sferiche, sbozzate, richiamano i ciottoli trasportati a valle da torrenti impetuosi e lavorati nel corso dei millenni.

Ogni volta che le vedo, innalzate al centro della rotonda di Villa Lagarina nel 2012, mi chiedo se non racchiudano un’anima, ricordando che il dio Mithra nacque da una roccia e che per gli alchimisti sono elementi ermafroditi, in cui si combinano gli opposti, maschio e femmina, bambino e vecchio, inizio e fine. Avvicinandosi si scopre poi che queste pietre sono innalzate su delle lunghe aste di acciaio, degli steli color argento.

L’alto stelo avrebbe suggerito a santa Brigida l’altezza vertiginosa di Maria o, comunque, dell’elemento femminile. In realtà penso che l’autore, l’artista Giuliano Orsingher, abbia voluto riprodurre un bosco, una foresta, un luogo di raccoglimento e di quieto incontro con potenze ed esseri sovrumani. In Epiro, Grecia, nel boschetto sacro di Dodona, la voce di Zeus si materializzava nello stormire delle fronde delle querce.

Siamo lontani dai curati e razionali giardini. Qui, davanti a quest’opera, ci troviamo di fronte ancora alle selve incontaminate della valle del Vanoi, una valle stretta tra i dirupati canaloni di Cima d’Asta e le ultime propaggini del Lagorai. È la terra natale dell’artista, una terra in cui ritorna ogni qualvolta ne ha la possibilità, per vagabondare tra malghe e torrenti, tra cime e avvallamenti, raccogliendo sassi, legni, idee, sensazioni, per poi chiudersi nel suo studio fatto di pietra e legno, a picco sul torrente Vanoi.

Giuliano Orsingher, per le sue opere d’arte, ha sempre utilizzato ciò che la natura di un luogo sa offrire.
Lo ricordo nel 1990 quando stese una lunga scala tra l’arcaica sala della Casa degli Artisti a Tenno e il verdeggiante prato esterno: i pioli erano grezzi, lisciati e consumati soltanto dal vento e dalle acque del torrente Vanoi. Scala composta da ossa sbiancate dal tempo, legni-ossa trascinati a valle e abbandonati dalle stesse acque lungo, allora, i selvaggi argini.

Quella scala assomiglia tanto a quella immaginata da Giacobbe, utilizzata da Santi e Angeli per scendere dal Paradiso e, stando a Dionigi l’Aeropagita («La gerarchia celeste»), con Diavoli anneriti e con i forconi che cercavano di far cadere/tentare le anime che salivano verso la salvezza.
La stessa scala l’ho trovata, qualche anno dopo, stesa lungo un torrente di montagna: sembrava un infernale passaggio tra il mondo reale e quello immaginario di una natura che sa e vuole celare i segreti della terra a chi non meriti di transitare attraverso le magiche aperture tra il microcosmo e il macrocosmo.
Ritornando alla pietra, rimane incantevole il suo lavoro predisposto nel 2000 per Arte Sella: nicchie ecologiche, nidi d’acqua, altresì, utilizzando un linguaggio archeologico, le magiche coppelle, le tedesche «schalenstein». Le troviamo mimetizzate tra i secolari faggi.

Anzi, di questi hanno assunto il colore e le muffe. Giustamente l’artista ricorda che l’uovo del mondo, l’uovo cosmico, è covato sulla superficie delle acque. Sono opere che richiamano l’arcaico grembo d’oro induista, da cui nasce l’anima del mondo che lacera il velo dell’oscurità della non esistenza. Il rumore della lacerazione è la sillaba «aum» (od «om»). Queste opere di Orsingher bisogna osservarle quando piove: ogni goccia che colpisce la coppella, il nido d’acqua, fa sortire un secco suono cristallino come se assistessimo ad un sacrificio sonoro. È ancora la filosofia orientale che ci aiuta a capire che tutto ciò che esiste si è sviluppato in un uovo munito di una fessura allagata da cui è uscito poi il sole cantore. Ora, simbolicamente, l’uovo con la fessura corrisponde, sul piano antropologico, a una testa la cui bocca emette il primo canto della creazione.

Potremmo scrivere moltissimo su Giuliano Orsingher, l’artista nato a Canal San Bovo nel 1961, creatore di decine e decine di opere pubbliche, anche monumentali, che allietano, rispetto a tante altre, il nostro sguardo quotidiano in molte parti del Trentino e non.
Sono lontani gli anni in cui, a Milano, la giuria di critici del Miart 1994 gli consegnò il premio nazionale «giovani», ma ancor oggi ogni sua opera è un inno alla natura, all’armonia, all’intelligenza, di una freschezza che non conosce spazio e tempo.

Se dovessi individuare un rappresentante del genius loci della terra trentina, ecco, Giuliano Orsingher sarebbe perfetto per incarnare la voce pregna di senso e le sue opere ci rapiscono perché raccontano un Trentino dove gli elementi sono in perfetto equilibrio tra la natura e l’uomo e concentrano dentro di sé innumerevoli saperi. Presentandosi, al contempo, con un respiro universale.

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