Carzano non fu un «sogno»

di Daniele Benfanti

Una valle, la Valsugana, in cui la guerra vive una fase di stasi, sebbene vicina alle zone di guerra più calde. Il torrente Maso che scende dal Manghen a dividere i due fronti: a ovest gli austriaci, a est gli italiani. Due militari atipici, da una parte e dall’altra. Lo sloveno Pivko, disposto a tradire, che guida il battaglione bosniaco che stancamente combatte per un Impero (quello multietnico austrungarico) in cui non crede. I bersaglieri italiani con il maggiore di origine ebraica Cesare Pettorelli Lalatta, tra i primi ufficiali italiani a sfruttare l’attività di intelligence.

Sono gli ingredienti e i protagonisti del «Fatto di Carzano», passato alle cronache anche come «Sogno di Carzano». La notte tra il 17 e il 18 settembre del 1917 in questo soleggiato piccolo centro della Valsugana centrale ci fu un tentativo di sfondamento delle truppe italiane, favorito dal tradimento del tenente Pivko e dalla complicità di altri nemici che inserirono dell’oppio nel rancio delle truppe austrungariche per favorire l’attacco italiano. Che fallì. Un gol sbagliato a porta vuota. Nei giorni scorsi Carzano, come ogni anno, ha arricchito le commemorazioni dell’evento nel segno della pacificazione e con la presentazione di ricerche e un convegno di studi sul tema «Obiettivo Trento: le reali possibilità di risolvere la guerra in Trentino». Marco Cimmino è stato uno dei relatori. Bergamasco, storico specializzato nello studio della Prima guerra mondiale (in uscita il secondo volume della sua «Storia della Prima guerra mondiale» per l’editore Gasperi di Udine), membro della Società italiana di storia militare e del Comitato 18 settembre di Carzano, è anche uno degli autori dell’ultimo volume, a più mani, uscito di recente su questo episodio: 1917-2017 Carzano. Un tentativo di sfondamento in Trentino a un mese da Caporetto.

Professor Cimmino, perché ricordare i fatti di Carzano di centouno anni fa come un «Sogno» ? come ha fatto a lungo la storiografia ? è fuorviante?
«È un orientamento che nasce da un’idea un po’ romantica della Grande guerra. E anche un po’ romanzata. L’"affaire" Carzano è un’opera concreta di elevata intelligence. A Carzano c’era la Prima Armata dell’esercito italiano, che con il generale Marchetti e il maggiore Pettorelli Lalatta aveva sviluppato, come mai prima, l’attività di intelligence militare. Dire che questo tentativo era un aleatorio ?sogno?, sminuisce le responsabilità italiane e la portata dell’evento».


Lei non esita a definire l’episodio di Carzano come un momento della storia militare italiana in cui convissero la battaglia di Custoza del 1866 e il Vietnam?
«Il richiamo a Custoza perché l’approccio dato dai soldati italiani era insufficiente dal punto di vista dell’osare. E il Vietnam perché i bersaglieri arrivarono a Carzano un po’ abbandonati.
Gli italiani erano influenzati negativamente dalla propaganda filoaustriaca.
Vedevano trappole dappertutto. E non si fidarono fino in fondo del tradimento di Pivko. Difficile, in un esercito ancora molto ottocentesco e «sabaudo», credere a un tradimento così smaccato».


Che situazione si viveva a Carzano in quel settembre del 1917?
«Succedeva poco o niente. Si faceva vita di guarnigione. In linea d’aria, però, a pochi chilometri c’erano le battaglie sull’Ortigara e il Lagorai. Se il tentativo di Carzano fosse andato a buon fine per gli italiani, forse non sarebbero arrivati a Trento, ma avrebbero messo in difficoltà i rifornimenti austriaci per gli Altipiani, bloccandoli tra Levico e Pergine. L’Austria aveva strutture logistiche al Cirè, a Calceranica e Caldonazzo».


È stato un fiasco doloroso per l’Italia ma anche l’Austria non ne è uscita bene.
«Il fascismo ebbe due motivi per silenziare l’episodio. L’opportunità sprecata, negativa per la mitologia bellica, ma anche le origini ebraiche del maggiore Pettorelli Lalatta. Pivko fu tradito dal cuoco del battaglione bosniaco, Urban. Cercò di disertare anche quando combatté la Serbia, ma venne addirittura decorato. E anche sul Col di Lana gli andò bene. Per l’Austria era uno smacco, anche se la Bosnia, occupata nel 1878 dall’Austria, era parte dell’Impero solo dal 1908. Si stavano creando i sudditi».

Ci possono essere episodi simili a quello di Carzano ancora da scoprire, in altre pieghe della Prima guerra?
«Direi di no. Perché il servizio di intelligence era prerogativa della Prima Armata, che era in Valsugana. L’episodio di Carzano deve entrare a buon diritto in tutti i manuali sulla Prima guerra mondiale. Le celebrazioni che si compiono ogni anno hanno il merito di riconoscere il diritto alla memoria storica di entrambe le parti e specifiche giornate di studio potranno dare ancora molti contributi».

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