Cognetti: «No a una montagna da cartolina illustrata»

di Fabrizio Franchi

Il nuovo libro di Paolo Cognetti, "Le otto montagne", edito da Einaudi (pagine 208, 18,50 euro), è diventato uno dei casi editoriali di questo fine anno.

Attualmente il volume è in traduzione presso 31 editori stranieri e con l'inizio del nuovo anno dovrebbe invadere il mercato librario internazionale. Cognetti, che è uno degli scrittori piú apprezzati sia dalla critica sia dai lettori, ha scritto un libro potente, che definire «di montagna» rischia di essere riduttivo.

Dentro c'è l'amicizia, il rapporto con i genitori, la possibilità di imparare e, in definitiva, la ricerca del nostro posto nel mondo. Di ognuno di noi.

Lo scrittore, figlio di veneti emigrati a Milano, cittadino prima e ora uomo di montagna per un periodo dell'anno, quando va a vivere in una baita ai piedi del Monte Rosa in Val d'Aosta, sabato ha presentato il libro in un incontro alla sede Sat di Trento, dialogando con il filosofo e docente Alberto Conci.

Il libro ha una sua forza e un suo impatto che non potrà che piacere agli amanti della montagna, anche se, come spiega in questa intervista, ha in mente una montagna lontana dagli stereotipi da cartolina. Comunque riveste una bella valenza simbolica che Cognetti parli nella sede della più importante istituzione di montagna del Trentino. 

Cognetti, questo viene presentato come il suo primo romanzo. In realtà è il suo ottavo libro, anche se è molto diverso dagli altri. Dove ha trovato la chiave di volta?

Da una parte penso che ci siano tanti anni di lavoro, le cose che ho fatto prima sono state un percorso di una ricerca di scrittura. Poi a un certo punto ha fatto irruzione la montagna, da quando cioè ho deciso di andare ad abitare in montagna, ormai otto anni fa, per una parte dell'anno. Questo ha cambiato molte cose. Il percorso è stato gruaduale, ma il cambiamento radicale. 

È però il primo romanzo vero e proprio, anche se si era già avvicinato al premio Strega... 

No, io non lo considero il primo romanzo. Avevo già scritto altre cose importanti che sono narrativa.

 

La passione per la montagna è travolgente per lei. Eppure è un cittadino, milanese...

Come succede anche nel libro, il mio è un amore ereditato, i miei genitori sono veneti, le loro montagne sono le Dolomiti. A Milano sono venuti per lavorare, ma mi hanno trasferito questo amore per la montagna, un luogo delle origini. D'estate eravamo sempre lontano dalla città e da bambino lo coglievo come un ambiente duro. Sempre d'estate andavamo in montagna in Val d'Aosta. Ora da adulto ci sono tornato in maniera diversa. 

Colpisce però questo suo vagabondare per grandi metropoli, New York, Milano. E poi la montagna....

Le due cose sono in antitesi, ma è un'antitesi giusta. Io ci sento due anime, opposte, ma complementari. In città succedono le relazioni del lavoro, della vita culturale, del rumore. La montagna è il luogo del silenzio, della scrittura. Io ho bisogno di entrambe le dimensioni.

Lei nel libro parte dalle Dolomiti, ma poi le abbandona e preferisce il Monte Rosa. Questione narrativa o qualcosa di più?

L'addio alle Dolomiti avviene per un trauma subito dai genitori del protagonista per cui decidono di non tornare più lì. Mi piaceva questa idea di emigrare dalla giovinezza, dai luoghi più accoglienti, dalle montagne dolimitiche più dolci alle montagne valdostane più aspre, che sono quelle dell'età adulta.

Lei è contro una certa retorica della montagna...

Assolutamente. La retorica della montagna da cartolina, viene da un'idea esotica, da un'idea del Cai, di cittadini che hanno sempre visto la montagna come un luogo di evasione. Ma quando uno ci entra, quando la conosce davvero, supera questa visione. Io questa idea un po' bucolica, la conosco bene. Ma la montagna è terribile quando non c'è nessuno, quando arriva il freddo, quando arriva davvero il buio. 

Lei è un caso editoriale, ne è consapevole?

Da una parte sì. Sto per compiere 39 anni, ho scritto sette libri, questo è l'ottavo. Non è che io sia un esordiente. Poi è un successo relativo perché stiamo parlando solo di libri. Però sono contento e orgoglioso, perché sono cose che ho costruito negli anni, ci sono arrivato piano piano. Piuttosto questo successo all'estero è un miracolo di cui non so dare una spiegazione. 

Lei conosce il Trentino?
Lo conosco poco. Conosco meglio le Alpi occidentali. Ma mi sono ripromesso di conoscerlo meglio.

Sta preparando qualche cosa di nuovo?

Io ho due scritture. Una è di narrativa, l'altra è di viaggio. Ecco mi piacerebbe girare per le Alpi, fare un'esplorazione a piedi e raccontarla.

Ci sono echi di Rigoni Stern e di Hemingway nella sua scrittura. Chi sono i suoi riferimenti?

Credo che siano davvero loro due. Sono cresciuto per tanti anni leggendo narrativa americana e sono arrivato alla letteratura italiana più tardi. La scoperta di Rigoni Stern è stata fulminante, è il mio preferito. I miei maestri sono loro due.

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