Venezia, miglior attrice Charlotte Rampling interprete di «Hannah» del trentino Pallaoro

La Coppa Volpi di Venezia 74 alal Mostra del cinema di Venezia per la migliore attrice va a Charlotte Rampling per il film «Hannah» del regista trentino Andrea Pallaoro (Italia, Belgio, Francia).

Il Leone d’oro per il miglior film va a «The Shape of Water» di Guillermo Del Toro (Usa).

Andrea Pallaoro ha conservato in un lato della sua anima quella riservata cortesia tipica dei trentini di fronte a interlocutori sconosciuti. Ma sa esibire anche la giusta ambizione per quanto fatto finora. Ieri Venezia ha accolto il suo Hannah in concorso, uno dei quattro film italiani in lizza. E oggi sapremo chi avrà vinto il Leone d’oro. Lui, per ora, a 35 anni si accontenta di tornare a Venezia, dopo la prima volta quattro anni fa con Medeas , su un palcoscenico prestigioso che segna una ulteriore tappa della sua carriera con un film coraggioso interpretato questa volta da una delle icone del cinema mondiale, quale Charlotte Rampling.

Si è ritrovato nel Colorado a 17 anni, per il quarto anno di superiori, partito da Trento e dal Liceo classico Prati e da allora mai più ritornato.

Pallaoro, che cosa è successe?

Ero finito a Craig, paese di 9 mila abitanti. Sarei poi dovuto tornare al Prati a fare il quinto anno, ma non fu così e mi sono poi ritrovato nel college dell’Hampshire, nel Massachusetts, a studiare regia.

È difficile per un trentino, per uno che arriva dalla provincia italiana, percorrere una strada del genere?

Non lo definirei difficile. È una strada senza molti riferimenti. È un percorso che ti inventi. Ma sono stato anche molto fortunato.
Questa passione per il cinema da dove nasce?
Ho sempre amato il cinema e ho riconosciuto fin da quando ero piccolissimo questa passione. Il mio innamoramento è dato anche da un percorso con alcune opere cinematografiche. Il mio bisogno di esprimermi cinematograficamente viene da alcuni grandi autori.

Quali?

Michelangelo Antonioni, Fassbinder, ma anche altri contemporanei: Lucrecia Martel, Michael Haneke, o altri artisti le cui opere sono punto di riferimento come quelle di Luis Buñuel.
Trovare i fondi per un film è più difficile di una volta?
Non so quali difficoltà potevano esserci trent’anni fa, ma la strada è abbastanza complessa per mettere in piedi una produzione cinematografica, soprattutto con fondi pubblici. Noi eravamo pronti a girare «Hannah» ancora nel 2014, ma ci abbiamo messo così tanto, perché i fondi mancavano, è stato un percorso molto lungo.

E arrivare a Venezia è stato altrettanto difficile?

La competizione è elevatissima, pochi titoli arrivano in concorso, scelti da tutto il mondo e quindi sì, è difficile.

Però qui c’è l’eccellenza, è orgoglioso?

Venezia punta a mostrare dei linguaggi cinematografici, che offrono una visione del mondo, un certo pensiero cinematografico e devo dire che sono onoratissimo e felicissimo che il direttore della Mostra, Alberto Barbera, e i suoi selezionatori abbiano deciso di darci questa opportunità.

Che esperienza è stata girare con Charlotte Rampling? Per i comuni mortali una icona del cinema...

Un’esperienza estremamente straordinaria e appagante, la sceneggiatura è stata scritta per Charlotte fin dalla prima parola. L’ho “incontrata” sul grande schermo quando a 14 anni vidi «La caduta degli dei» e ne rimasi folgorato...
Quindi c’è anche Luchino Visconti nel suo Pantheon...
Certamente.

Torniamo a Charlotte Rampling.

Cominciai a seguirla in tutti i suoi lavori e questa sceneggiatura di «Hannah» nasce dall’amore, dal fascino che Charlotte ha esercitato su di me e quindi potere collaborare con lei è veramente molto significativo per me. Lei ricerca una sua verità di performance di attrice con una coraggio e una generosità che ammiro e quindi è stato un onore.

Ma lavorare con un’attrice simile è problematico o c’è stata scioltezza?

Sicuramente è più complesso. Ma è positivo che dal nostro primo incontro, nel dicembre 2013, fino alla produzione avvenuta nel 2016, abbiamo avuto modo di conoscerci e di entrare in sintonia e intimità, di coltivare una fiducia reciproca, approfondendo il personaggio.

Rampling in «Hanna» interpreta la moglie di un personaggio accusato di pedofilia...

In realtà il film non commenta mai, non rivela mai, il reato di cui il marito è accusato. Questa è una scelta che abbiamo fatto molto attentamente. È una lettura possibile, ma voglio lasciare che lo spettatore arrivi a una sua conclusione. Ho voluto concentrarmi sullo stato mentale della donna, senza una narrativa superflua. Non conta tanto la storia, ma lo stato mentale: è questo che mi affascinava, non la struttura narrativa che la circondava. Questa è la catarsi cinematografica a cui aspiro: voglio che lo spettatore arrivi a identificarsi e a mettersi in discussione. Voglio un cinema che punti ad instaurare un rapporto molto individuale con lo spettatore.

E i suoi progetti futuri?

Per adesso con questo film da Venezia andremo a Toronto, ci sarà una lunga promozione. Ma «Hannah» fa parte di una trilogia incentrata su personaggi femminili, il prossimo sarà «Monica».

Anche questo ispirato a un fatto reale?

Ha le sue radici, ma io le reinterpreto. Questo è legato a un fatto accaduto a una mia conoscente di Los Angeles.

Lei sente le sue radici trentine?

Non posso dimenticarle, ne sono fiero e orgoglioso.

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