Wenders racconta la magia fotografica di Salgado

Wim Wenders è prima di tutto un fotografo. Alterna questo lavoro a quello del regista sempre più spesso negli ultimi anni e le sue esposizioni sono ormai oggetto di saggi e studi in tutto il mondo da parte di storici dell'arte e della fotografia.

Non stupisce che la sua nuova opera, «Il sale della terra», sia un documentario su uno dei più grandi fotografi del mondo: il brasiliano ora parigino Sebastiao Salgado.[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"126576","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"213","style":"float: right;","width":"142"}}]]

Dopo la presentazione al festival di Cannes e l'anteprima italiana al festival del cinema di Roma, alla quale ha partecipato lo stesso regista in un incontro pubblico nell'ambito di Wired Next Cinema,

«Il sale della terra» è uscito il 23 ottobre distribuito da Officine Ubu.

A Salgado, con un pedinamento durato due anni e firmato insieme al figlio del grande artista, Juliano Ribeiro, Wenders dedica un omaggio ripreso come l'occhio del testimone che vede crescere e maturare un'opera d'arte.

Si tratta della nuova esposizione «Genesis» che Salgado promuoverà nel mondo nei prossimi mesi (attualmente è a New York) e che si propone come un grande affresco della bellezza della terra.

La sua macchina fotografica ha viaggiato nel mondo alla ricerca di monumenti naturali alla bellezza che solo una concezione eco-sostenibile e cosciente della terra può salvare e tutelare per le prossime generazioni.

Wenders si è messo al servizio di questo progetto con l'umiltà dell'allievo e l'occhio del poeta che dialoga con le immagini e le persone cercandone l'essenza profonda. Impresa resa ancor più emozionante dal fatto che le foto di Salgado vivono di un bianco e nero raffinatissimo, mentre il cinema parla ormai con la tavolozza dei colori da più di 80 anni. Il risultato è di grandissima raffinatezza e non può essere confinato nella rubrica «esercizio di stile».

 «Abbiamo cominciato a girare in fretta e furia per conciliare le esigenze dei nostri due protagonisti, Salgado e Wenders - dice David Rosier che ha prodotto "Il sale della terra" - e poi invece il tempo si è allungato per la passione di entrambi a questo incontro poco ordinario. Alla fine sono stati due anni di pellegrinaggi, viaggi, dialoghi cui Juliano Ribeiro ha aggiunto un punto di vista essenziale: quello di un figlio che attraverso il lavoro del padre cerca di comprenderne l'animo e la vita, quella stessa che spesso Sebastiano gli ha negato partendo per i suoi lunghi viaggi creativi».

Come in «Pina», Wenders si scopre artista del cinema della realtà attraverso l'apparente semplicità dei mezzi messi in campo. Invece a ben guardare il film è un fantastico corpo a corpo tra l'occhio e la sensibilità di due fotografi.

GIORGIO GOSETTI (Ansa)

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