Trento Half Marathon: come far girare le gambe con la testa

Trento Half Marathon: come far girare le gambe con la testa

di Michele de Matthaeis

In questo articolo verrà trattata nello specifico la Trento Half Marathon (21.097 km) a cui ho partecipato cercando di centrare quello che per alcuni potrebbe essere visto come un piccolo e per altri un grande obiettivo. Punti di vista, questa è la prima riflessione proposta nell’articolo di oggi. Ognuno di noi è diverso: vede, sente e si approccia allo sport in maniera differente.

Obiettivo personale: correre in 1 ora 24 minuti e 40 secondi, che significa ad una media di 4.00 min/km.

Strategia: partire con un ritmo di 4.08 iniziale e scendere fino a 3.50 nei chilometri finali. Sulla carta impossibile, manca la velocità, gli allenamenti parlano chiaro, il 3.50 è possibile tenerlo solo nei fartlek, quando il fisico è ancora fresco. Tanti allenamenti lunghi e medi, ma pochi di velocità. Quindi nuova strategia, partire allo stesso ritmo, rispettare la progressione fino ai 4.00 min/km, poi decidere cosa fare, al momento, in base alle sensazioni.

La gara inizia, primo ostacolo: partenza in fondo al gruppone, tanti atleti da sorpassare, il ritmo salta, la preoccupazione per la strategia aumenta. Aumenta la voglia di recuperare, vedo compagni più avanti. So bene cosa sta succedendo, cosa devo fare, mi sono allenato mentalmente anche a gestire questo nelle gare durante l’estate: «Se alzi il ritmo ti bruci. Calmati, respira, il tempo di recuperare c’è tutto». Lascio allontanare i miei compagni e tengo il mio ritmo. Secondo ostacolo: la corsa è nella città, sotto gli alberi il GPS prende male, il ritmo salta da 4.30-4.17 a 3.40, non capisco più qual è la mia media. Ansia, preoccupazione: «Chissà, se davvero sto andando tanto sopra i 4.00, allora non recupero più». Primo errore dell’allenamento mentale: mi sono allenato troppo affidandomi al GPS, non riesco ad ascoltare il mio fisico e ad avere un feedback preciso della velocità dalle mie gambe: «Mi sono allenato tanto, deve esserci per forza qualcos’altro a cui affidarsi: certo, la frequenza cardiaca!».
Secondo errore dell’allenamento mentale: «Mi sono allenato troppo in uno stato di supercompensazione, la frequenza cardiaca è completamente diversa ora. Niente paura, ripensiamo alle gare fatte durante l’estate e alle sensazioni provate nelle gare in cui sono riuscito a correre in progressione. Certo, la gara del giro del lago di Resia!».
Ottimo, recupero quelle sensazioni e le associo alla frequenza cardiaca. «Sono di nuovo nella gara!».

La strategia è andata a quel paese, ma mi diverto e riesco pian piano a recuperare anche i miei compagni, attorno all’ottavo chilometro riesco ad aumentare leggermente il ritmo, forse troppo presto, ne sono consapevole, ma bisogna provarci per raggiungere l’obiettivo.

Primo errore nell’allenamento fisico: al 14° chilometro sento uno step importante di decadimento nelle gambe: «Non sono allenato a tenere quel ritmo per così tanti chilometri. Però sono allenato sulle lunghe distanze, mi sono impegnato tanto negli allenamenti, posso andare avanti ancora a lungo, non è come una volta che sarei scoppiato a breve». Utilizzo la testa, prendo un atleta come riferimento davanti a me, gli lancio il mio elastico invisibile, inizia a trascinarmi. Mantengo il ritmo senza problemi. Ulteriore ostacolo: ci sono diverse salite: «Quelle sono il mio punto di forza». Mentalmente mi carico, l’elastico si accorcia su ogni salita. Le gambe tentennano, ora è più difficile tenere il focus dell’attenzione esterno, sugli altri atleti, per mantenere il ritmo devo sforzarmi. Il cervello mi dice che non ce la farò con quel ritmo: «So quello che devo fare, mi sono allenato».

Porto il focus sulla respirazione, cerco di ottimizzare tutti i processi metabolici, l’ossigenazione del sangue, il lavoro muscolare, la frequenza cardiaca. Mi aiuto spostando il mio focus sul gesto tecnico. La mia non è più una corsa naturale: «Se non voglio bruciarmi devo mantenere il gesto tecnico più economico possibile, fluido, rilassato, leggero. Su questo mi sono allenato tanto». Al 17° chilometro le gambe non ci sono più, il ritmo aumenta ma comunque riesco a limitarlo, non guardo più l’orologio, è il momento di dare il massimo, respiro e focalizzo l’attenzione sul gesto tecnico. Mi dico qualche parola chiave trovata in allenamento che mi permette di mobilitare qualche residuo di energia.

«SONO ARRIVATO!».

Non ho raggiunto l’obiettivo, di poco, 1 ora 27 minuti e 25 secondi che significa una media di 4.08 min/km.
C’è ancora da lavorare, ho raccolto tanti spunti per migliorare, ma soprattutto sono riuscito a raggiungere il mio obiettivo primario: mi sono divertito senza strapazzarmi troppo. Inoltre ho tolto ben 13 minuti rispetto alla mia prestazione di 5 mesi fa. Ora sono motivato più che mai a continuare ad allenarmi per raggiungere il mio obiettivo!

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