Le tante tracce lasciate dal cinghiale

Le tante tracce lasciate dal cinghiale

di Luca Fusco

Solo qualche giorno fa, andando a recuperare il mio apparecchio in un bosco che non avevo mai ancora esplorato, mi sono imbattuto in alcune tracce (per me davvero insolite) rimaste impresse sulla terra bagnata nelle vicinanze della mia fototrappola.

L’impronta mostrava due unghie allungate di notevoli dimensioni e, dietro queste, il segno profondo di due speroni: segno inconfondibile del passaggio di un cinghiale e di un cinghiale che doveva essere anche piuttosto grande e pesante considerando la profondità dei segni e l’ampiezza dei passi!

Emozionato mi sono precipitato alla fototrappola e, aprendola, ho avuto conferma delle mie supposizioni. Proprio un cinghiale adulto era passato, giusto qualche ora prima, sul viottolo sterrato che avevo appena percorso. Dalle immagini scattate si notava chiaramente la sua corporatura tozza e possente (alto fino ad un metro raggiunge, infatti, anche il quintale di peso), le sue zampe corte e robuste e le sue zanne acuminate: insomma, un vero gigante dei boschi.

Mentre percorrevo la strada di ritorno verso casa la sorpresa iniziale per questo ritrovamento ha lasciato presto spazio ad una consapevolezza: sempre più i nostri boschi presentano, infatti, evidenti segni della presenza di questo grande mammifero; spetta solo all’occhio dell’escursionista abituarsi a riconoscerli. Il terreno “arato” dalle sue unghie, le tracce che si dirigono verso delle pozze fangose e i segni del suo bagno (che in gergo prende il nome di “insoglio”), oltre ai frequenti segni degli strofinamenti e delle zanne lasciate su tronchi e cortecce sono ormai delle costanti tra alberi e radure.

Delle tracce che sono sempre più presenti: dovuti all’esponenziale crescita della popolazione di cinghiale nelle nostre aree: basti pensare che all’inizio del secolo scorso questi animali erano presenti in pochissime zone della nostra penisola tra cui la Maremma, l’Abruzzo, l’Appennino meridionale e la Sardegna.

Negli ultimi cinquant’anni, invece, a causa di uno scellerato intervento di ripopolamento attuato dall’uomo per rendere più ricca e più soddisfacente la caccia, si è giunti ad una situazione ai limiti della sostenibilità ambientale. Grazie, infatti, alla grande capacità di adattamento di questa specie (in grado di colonizzare ogni ambiente dalle montagne alle zone urbane) e alla sua grande prolificità, che consente di mettere al mondo tra i due e i tredici piccoli per cucciolata, i cinghiali si sono moltiplicati in un brevissimo lasso di tempo andando ad occupare uno spazio biologico via via sempre più ampio. Il loro essere onnivori, poi, permette loro di reperire grandi quantità di cibo, potendo nutrirsi non solo di cortecce, di bacche e di radici, ma anche di carcasse di animali, spingendosi addirittura a cacciare (in gruppo) mammiferi di grandi dimensioni, meglio se feriti.

Questa grande diffusione del cinghiale, che non conosce differenza per quanto concerne la quota o la tipologia di terreno, consente al fototrappolatore di imbattersi in questo animale abbastanza di frequente; solo le valli più montuose e più densamente popolate da fauna selvatica, per ora, resistono alla sua colonizzazione e ciò grazie anche alla presenza dei grandi predatori che svolgono una funzione di calmieraggio della sua crescita demografica attraverso una predazione costante degli esemplari più giovani.

In questo, il ritorno del lupo nel nostro territorio ha svolto una funzione fondamentale: concorrente diretto del cinghiale al vertice delle gerarchie animali, questo trova nei cuccioli di cinghiale un importante elemento della sua dieta, contribuendo, così, a mantenere stabile il numero di esemplari presenti all’interno di un areale. Una circostanza che, almeno per una volta, mette lupo, autorità forestali e cacciatori dalla stessa parte della barricata (anzi, alleati) nel preservare l’equilibrio dell’ecosistema alpino.

In zone rurali o in aree in cui non sono presenti dei suoi predatori diretti, invece, l’immagine di un grosso cinghiale o quella di una madre seguita da una numerosa cucciolata di esemplari dal manto striato (i piccoli, infatti possiedono il cosiddetto “pigiama” nero e marrone-chiaro) è abbastanza ricorrente, tant’è che non è raro imbattersi in notizie di branchi di cinghiale che si aggirano tra strade e abitazioni in cerca di cibo.

Una curiosità riguardante questo animale (che è stata studiata abbastanza accuratamente dai ricercatori) è data dall’interazione tra il cinghiale autoctono e gli esemplari di maiali domestici. Un fattore, questo, che ha comportato un mutamento significativo della specie, non solo acuendone la familiarità con l’uomo, ma anche producendo mutamenti estetici molto sensibili: mentre gli esemplari puri possiedono la tipica coda dritta, per esempio, negli ibridi si riscontra la presenza di una coda attorcigliata (tipica dei maiali), ma anche le zanne hanno subito un mutamento, divenendo più lunghe e più sottili negli esemplari derivanti da ibridazione.

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