Ho smesso di vedere il mare dappertutto

Ho smesso di vedere il mare dappertutto

di Lucia Ferrai

Mi chiamo Larai. Ho otto anni e da un mese vado a scuola in Italia. Sono nigeriana ma, quando sono sola, non ne sono sicura. Non ditelo al papà, ma ricordo poco la mia terra. Il barcone invece.. ecco, mi confondo, e a volte penso di essere nata lì, nel mare. Oggi ho provato una cosa nuova, per ricordare com’era casa mia. Ho preso l’idea dalla mamma, che spremeva un’arancia. Mi sono detta che forse è così anche per i ricordi, bisogna strizzare gli occhi e farli uscire. Niente, non funziona, anzi continuo a sentire puzza di alghe.

A scuola i suoni non significano nulla. Lo so, io parlo solo inglese, ma comunque è strano vedere la bocca dei bambini che si apre e non sapere perché. Prima è buffo, poi diventa triste e allora appoggio la guancia sulla mano, vorrei correre fuori nel prato. Ricordo che anche nel barcone non potevi muoverti, non c’era abbastanza spazio nella stiva. Una volta, per passare il tempo, ho provato a saltare, ma ho preso il piede della mamma. Lei per fortuna non si è arrabbiata, anzi ha sorriso. Però se sorridi sul barcone, l’odore di sangue sale su per il naso. La mamma lo sapeva bene ma ha sorriso lo stesso, è una persona buona. Io ho pensato che l’inferno puzza di pesce.

Sul barcone, comunque, parlavo più con papà. Avevo bisogno della sua forza.

    -  Perchè non siamo andati in aereo papà?

    -  Guarda in alto, volevi disturbare i gabbiani?

    -  No, no. I gabbiani sono simpatici.

Mi fermai a pensarci, poi il papà mi accarezzò la guancia. So che le domande lo stancano, ma non ero convinta.

    -  E queste persone non le disturbiamo?

    -  Si, tesoro, disturbiamo anche loro

    -  E allora che differenza fa?

    -  Questa gente sapeva che ci saremmo stati anche noi. I gabbiani, no.

    -  I gabbiani non lo sanno?

    -  I gabbiani non sanno mai niente

    -  Papà?

    -  Si?

    -  Vorrei essere un gabbiano.

Poco dopo, il cielo si fece scuro. La tempesta stava arrivando, tutti erano spaventati. Io tremavo come una fogliolina.

Un tuono e poi.. eccolo, il vero volto del mare. Un mostro con fauci d’acqua. Le onde, a zampate di morte, avanzavano indifferenti al puzzo di cadavere. La pietà è annegata nel Mar Mediterraneo: un cimitero senza fiori. Forse qualche alga proverà compassione per i signori nessuno, di cui affonda anche il nome.

Nella tempesta mio padre mi strinse al petto, forte. Il suo odore mi rassicurava. Ma un profumo, sfuggevole, può essere un porto? No. Eppure se la vita tenta di strapparsi via dalla tua pelle, non resta che ancorarsi al nulla.

Noi nella stiva sbattevamo qua e là. Meno male che mio padre ha mani forti. Dal ponte, invece, venivano solo urla. Una bambina, ricordo, gridava:

     - Allah Allah, aiutaci Allah. Noi siamo gentili. Non siamo noi che abbiamo fatto arrabbiare il mare. Allah ti prego, parla con il mare.

Fu l’ultima cosa che sentii. Poi, il silenzio. Qualche ora dopo smettemmo di barcollare, il mare si era calmato. Uscimmo dalla stiva, perché non si respirava più. C’era il sole, ma avrei voluto fosse notte. Sul ponte erano stati spazzati via tutti, migliaia di persone sballottate fuori come birilli. I corpi erano dappertutto e galleggiavano come sacchi vuoti. Mi voltai e vidi un gabbiano che frugava fra i capelli di una donna, le aveva strappato il velo e mangiava la pelle. Mio padre era fermo, in piedi, ma tremava, poi ha vomitato due volte sporgendosi verso il mare. Quando si girò verso di me, disse solo:

    -  Piccola, non guardare.

    -  So cos’è successo papà. Non ho più sei anni.

Queste parole gli spezzarono qualcosa dentro. Mi parve addirittura di sentire il rumore.. ‘cric’. Mi osservò e notai che le lacrime si stavano gonfiando dentro le sue palpebre. Aprì leggermente la bocca per replicare, ma non ne uscì nulla. La cosa che più gli faceva male era pensare che io potessi capire la morte e che avrei perso per sempre l’innocenza. Non potevo permetterlo, così finsi un sorriso:

    - Papà, stanno dormendo a faccia in giù. Così nei sogni vedranno i pesci!

Non so se mi ha creduto, penso di no, ma fu grato, almeno per il tentativo. Era uno spiraglio d’amore nella morte.

Anche a scuola, in Italia, ho trovato un po’ d’amore. C’è una maestra che ha occhi gentili, mi fa sentire meglio solo guardandomi. Prima di lei, vedevo il mare nello sguardo di tutti. Oggi sto imparando a trovarci altre cose, tipo i fiori o le nuvole. È stato soprattutto per lo zainetto che le cose sono cambiate. Il primo giorno di scuola non avevo uno zaino e sono andata in classe con una borsa di plastica e una penna. Io sono furba e quindi l’ho messa subito sotto il banco, dietro le gambe. Così non l’avrebbe vista nessuno, gli altri bimbi non avrebbero notato che sono diversa. Rimanevo però un po’ preoccupata per la penna, non volevo usarla e finire l’inchiostro. La maestra mi ha visto, perché lei è una persona adulta e a loro è più difficile nascondere i sentimenti.

Il giorno dopo la maestra mi ha portato uno zainetto rosa, tutto nuovo, ed un astuccio con tante penne, anche colorate. È bellissimo, ha due tasche blu. L’ho appoggiato subito sopra il banco, come facevano gli altri. Una compagna mi ha sorriso perché anche lei aveva uno zaino rosa... spero che diventeremo amiche. La maestra ha detto ai miei genitori che lo zaino era della scuola, ma secondo me è suo e me l’ha regalato. Martedì la maestra mi ha portato in palestra a giocare con l’hula hoop. Non era molto aggraziata, mentre io lo so usare, ci giocavo spesso in Nigeria. La maestra era sempre più goffa. Era molto buffa e io ridevo e ridevo. Non riuscivo più a smettere, finchè quasi mi faceva male la pancia!! È stato un pomeriggio fantastico perché non ho mai pensato al barcone. Ero libera. Anzi, il giorno dopo ci ho riflettuto molto. Mi sono detto che, se continuo così e con l’aiuto della maestra, io ce la posso fare. Si, sicuramente ce la voglio fare. Posso riuscire un giorno a dire: ho smesso di vedere il mare dappertutto.

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