Per una cultura del fuoripista [seconda parte]

L'insidia del vento per chi va fuoripista

di Alessandro Beber

Proseguendo la nostra analisi delle problematiche che possono incorrere quando ci muoviamo in montagna d’inverno, un discorso a sé lo merita il vento. Per quanto riguarda il pericolo valanghe, questo agente atmosferico è responsabile delle maggiori insidie per gli escursionisti, in quanto è in grado di spostare in poche ore enormi quantità di neve, accumulandole in aree relativamente ristrette. In sintesi il principio è che la neve viene prelevata dalle dorsali sopravento e ridepositata a terra dove cede la turbolenza, ovvero sui pendii sottovento.

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Questo fenomeno risulta particolarmente evidente in corrispondenza dei crinali affilati, con la formazione di spettacolari creste sporgenti che ricordano le onde marine. In ogni caso non sempre la presenza di accumuli eolici è segnalata da cornici così evidenti, che risultano quindi più difficili da individuare. Anche inverni poco nevosi come quello che stiamo attraversando non devono trarre in inganno: bastano pochi centimentri di neve caduta al suolo e un paio di giorni di vento per creare depositi dello spessore di svariati metri.

Il problema principale però è un altro: quando i cristalli di neve vengono trascinati e trasportati dal vento, perdono gran parte delle loro ramificazioni, cosicché nel momento in cui vengono rilasciati a terra vanno a creare uno strato di neve più compatto, di peso e consistenza ben maggiori rispetto al manto nevoso originale.
Per fare un paragone illustrativo, provate ad immaginare di riempire un vasetto di vetro con dei rametti d’abete interi, e quindi riprovarci sminuzzando prima gli stessi rametti ago per ago...naturalmente nel secondo caso il vasetto riuscirà a contenere più materiale, essendoci meno spazi vuoti tra gli aghi. Alla stessa maniera i fiocchi di neve, distrutti e trasformati dal vento in «palline», racchiudono un volume d’aria minore e quando si compattano l’uno sull’altro danno vita a dei «lastroni» all’interno dei quali la neve può arrivare a pesare diverse centinaia di chilogrammi per metro cubo.

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L’aspetto da sottolineare è che all’interno di questi strati di neve ventata si creano delle forti tensioni  che le fanno somigliare a delle vere e proprie lastre di materiale duro e fragile (da qui il nome lastroni), parecchio sensibili alle sollecitazioni come potrebbero essere quelle esercitate dal passaggio di sciatori od escursionisti a piedi.

Pensate ad un accumulo eolico come ad una lente di vetro (spessa al centro e più sottile ai margini): se provate a camminarci sopra e la pressione supera la resistenza della lente, questa si frantuma per intero, come se scoppiasse. Se la vostra lente poi è posta su un pendio sufficientemente ripido ad innescare uno scivolamento della massa nevosa frantumata, eccovi servita una valanga a lastroni.

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Questa dinamica è alla base di buona parte degli incidenti in valanga che avvengono abitualmente sulle Alpi, dove i venti in quota soffiano spesso con intensità e da direzioni diverse, a seconda delle correnti predominanti in quel momento.

Ovviamente il discorso è abbastanza complesso e meriterebbe ulteriori approfondimenti (esistono anche lastroni di neve soffice, oltre ai lastroni da vento) ma uno dei principi di fondo da tenere a mente è che gli impulsi si trasmettono all’interno del manto nevoso, quindi il nostro passaggio può innescare dei distacchi sia diretti che indiretti, ovvero a distanza, a seconda della «reattività» degli strati.

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Tornando a noi, il lavoro del vento è senz’altro una delle variabili da tenere costantemente sott’occhio, sia da casa, nel momento di pianificazione dell’escursione, sia una volta sul campo. Importante è rimanere sempre flessibili e pronti a cambiare itinerario, oppure a rinunciare alla meta preventivata nel caso le condizioni risultino meno favorevoli del previsto.

(continua)

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