Grazie caro papà per il tuo esempio

di Giancarlo Bregantini

Che cosa siamo? Sembra una domanda scontata. Imprendibile, per certi versi. Eppure è con essa che ci si confronta ogni giorno. Malgrado le apparenze, siamo. Nonostante le fughe da noi, siamo. Indomabili. Bisognosi. Felici o infelici. 
È una vera grazia interrogarsi sulla propria identità. A partire dall'argilla con cui siamo stati plasmati per giungere al soffio vitale che ci abita. Lasciandoci prendere dal mistero cui non sappiamo sempre rispondere. Ed anche il non saper spiegare ogni cosa ci rivela pienamente ciò che siamo. Perché quel punto risolutivo non è sopra, né sotto, né fuori da noi stessi. Ma dentro. Lì, dove non possiamo nè mentire né camuffare. Ma è richiesta un'obbedienza pulita, sincera, come per Gesù, nella odierna lettura tratta dalla lettera agli Ebrei. 
È il cammino stesso della vita che lo esige. Così è come scavare nei segreti di quel libro in cui scriviamo, nel grondare di lacrime e di sorrisi, tra le legioni delle esperienze e dei ricordi, dove non c'è solo qualcosa di noi, ma tutto ciò che realmente siamo. 
Personalmente, faccio uso del diario, fin da ragazzo. Lo considero un approdo, lungo le mie fatiche e i miei aneliti più grandi. Un bastone per il mio cuore e uno spazio aperto per i miei ragionamenti. 
È bello alle luci del primo mattino scriverlo, come fosse uno scrigno prezioso. Fedele specchio, attraverso il quale riluce sempre una consolazione, un versetto biblico che rilancia per me il tutto. Felice scoperta è aver appreso poi che anche il Papa ne faceva uso da giovane. Non poco tempo fa fu recuperato un suo appunto del 1969, sì, uno scritto inedito, che rivela a pieno la sua profonda ricerca di Dio e di se stesso. Lo rileggiamo per capirlo più a fondo e guardando con riconoscenza ai suoi cinque anni di pontificato appena festeggiati. 
Bergoglio, prima della sua ordinazione sacerdotale, riportava nel suo diario proprio queste parole:
«Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna.
Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all'incontro per invitarmi a seguirlo.
Credo nel mio dolore, infecondo per l'egoismo, nel quale mi rifugio.
Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare? senza dare.
Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me.
Credo nella vita religiosa.
Credo di voler amare molto.
Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla.
Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d'estate.
Credo che papà sia in cielo insieme al Signore.
Credo che anche padre Duarte stia lì intercedendo per il mio sacerdozio.
Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l'amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all'incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen».
E guardando alla festa di san Giuseppe, esorto tutti i papà a considerare i propri figli come le pagine viventi del loro esempio e del loro amore, che il mondo potrà sfogliare e benedire. 
Con un ricordo e una preghiera al mio, Germano, che in eredità mi ha lasciato la sua mitezza. E il senso del lavoro leale e appassionato. Auguri!

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