Lavorare per un mondo più umano

di Giancarlo Bregantini

La storia germoglia all'incrocio tra il «sì» di Dio e quello della Vergine Maria. Il rivelarsi di Dio è sempre un volgere lo sguardo alle realtà umili, in cui c'è ancora spazio per la Sua presenza. I sentieri più battuti da Dio sono proprio le sorprese. Maria ne sa qualcosa! Specie quando si presentò a Lei l'arcangelo Gabriele, per annunciarle la venuta di Gesù. Dio ama, infatti, coglierci all'improvviso con i Suoi doni. Senza preavviso. Senza schemi. Senza calcoli. Quando cioè il cuore è ancora sgombro da ogni preoccupazione. Il Natale è così evocare questa potenza di doni, di attenzioni che la Vita compie gratuitamente nei nostri confronti. E spesso proprio non ce ne accorgiamo. Ma poi avviene un qualcosa che ci riporta all'antico stile con cui Dio torna a visitarci.
Una bimba, alla recita di Natale, visitando una scuola dell'infanzia, qualche giorno fa, mi si è avvicinata dicendomi: «Sai perché il Natale è bello?...Perché è la festa in cui i grandi sorridono di più e la sera io non ho paura, perché in giro è pieno di luci che brillano». Quanto mi ha colpito questo sentimento, questa spontaneità. In fondo, l'animo innocente di questa bimba ha segnalato a noi adulti due cose importanti. Il primo è che forse troppo poco ricordiamo di sorridere. Di essere felici. Perché corriamo. Facciamo. Ma spesso dimentichiamo questo aspetto vitale per noi e soprattutto per chi ci guarda e ci è accanto. E l'altra cosa è che forse è il caso di dare un pizzico di colori in più, specie nei nostri piccoli centri. Di ornarli di fiori. Di trasmettere vita. Che c'è vita! Che c'è futuro! Che c'è il volersi bene! 

Non si tratta di riscrivere i nostri borghi, quanto piuttosto di rilanciarli nella loro bellezza caratteristica, suggestiva, come in questo periodo natalizio. Apprezzo perciò molto i tanti che si adoperano a creare il presepe vivente, perché la valorizzazione passa da questi eventi che si fanno rimando alla preziosità dei nostri paeselli interni e alla propria eredità di tradizioni e di culture. Dico questo perché credo che in ogni borgo c'è realmente una piccola Nazaret, che chiede cura e considerazione. Questa è la soluzione: mettere in campo le forze delle nuove generazioni, con accanto certamente l'esperienza e i passi saggi di chi è avanti con gli anni. È il focolare che fa il Natale. Ed è il Natale che ci porta a riscoprirlo nelle nostre case. Come luogo per riacquistare pace, sintonia, per parlarsi con calma. Per capirsi e ascoltarsi a fondo, l'uno con l'altro. Fino a ritrovarsi con più entusiasmo l'uno per l'altro. Quel focolare acceso nei nostri cuori, quando ardono per ideali grandi, in cui cielo e terra si armonizzano e ci spingono a rimettere al centro il bisogno primario di comunione, dopo infinite distanze e corse sfrenate. Il mondo batte i denti, non per le stagioni rigide, ma per mancanza di cuore! Trema e si raggela perché ancora si muore per mano assassina, per sfruttamento, per indifferenza! Dove c'è calore invece tutto esplode di vita, di gioia! Come l'esperienza dei 162 profughi, in salvo dai lager della Libia, tramite i corridoi umanitari. È la prima esperienza! Accolti con venerazione dalle nostre chiese e comunità.
Così tra le nostre povere e singole vite c'è un collegamento misterioso col mondo. Se siamo freddi dentro perché coltiviamo sentimenti di odio e di invidia contro il fratello, ci accorgiamo che lo stesso freddo si va espandendo fuori di noi. Ma anche il contrario. E questo deve essere il miracolo di Natale: accendere ciò che è spento e far risplendere ciò che si è incupito, lavorando ogni giorno per un mondo più ospitale, più umano! Perché la carovana della storia, dentro la quale ci muoviamo tutti, va incontro al Signore che viene. Ed è spinta da una ricettività segreta di luce, che nasce nella notte, che non teme la notte, che trasforma la notte. 

Il Natale va quindi incarnato proprio in questo irrompere di stupore che padre Giovanni Vannuncci cantava così: «La redenzione della terra comincia da questa certezza: nel profondo di ogni essere, anche nel più abbietto, c'è Cristo. In me c'è la Parola incarnata, come nell'amico più sincero, come nell'avversario più crudo. Da questa constatazione sorge l'umanità nuova, sorretta dalla rispettosa venerazione di ogni essere, dalla speranza incrollabile che un giorno il cuore di ogni uomo sarà avvolto dal canto degli Angeli e inondato da una luce che non è di questo mondo». Torniamo a commuoverci. Accettiamo la sfida di vivere il Natale come festa della presenza. Presenza che non torna in dietro davanti alle locande chiuse, alle porte in faccia, come le ha subite il piccolo Gesù. Davanti alla grotta di Betlemme, nella solidarietà coi fratelli, nell'essenzialità vera, conquistiamoci questo Dio, che non si arrende davanti alle nostre barricate. In tre gesti veri: calore, adorazione, ringraziamento. Buon Natale a tutti!

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