Se il giornalista elogia quella stanza

Se il giornalista elogia quella stanza

di Paolo Ghezzi

Il cane è paziente e fedele. Il gatto è elegante e corteggiatore. Ma chi è il miglior amico dell’uomo? Per uno dei giornalisti la cui fantasia e irriverenza ci manca, non è né il gatto amato dai «gattolici», né il cane adorato dai padroni. Sorprendentemente è invece quello che gli inglesi eleganti chiamano «restroom», i turchi «tuvalet», i tedeschi «Badezimmer» e gli alpini «Toi Toi».

Paolo Giuntella - giornalista della Rai, scrittore, fondatore della Rosa Bianca italiana - che è stato ricordato sabato scorso a Roma, nel piccolo teatro San Genesio a due passi da viale Mazzini, nel decennale della morte, dalla moglie Laura, dai figli Osea, Tommaso e Irene e da tanti amici e colleghi tra cui Marco Damilano direttore dell’Espresso, quel luogo speciale lo racconta così: «È qui che abbiamo passato alcuni dei momenti più belli della nostra vita. Nella solitudine accogliente e riservata del cesso abbiamo pianto, abbiamo riso di gioia, abbiamo preso decisioni importanti, abbiamo pregato e bestemmiato. Al cesso abbiamo incontrato tutti i nostri più amati autori, Joyce e Baudelaire, Graham Greene e Thomas Merton, Mounier e Bobbio, Le Goff e Osvaldo Soriano, sono tutti passati per il mio cesso, dove talvolta ho finito per leggere anche cento pagine consecutive».

Laggiù a Roma è stato Giovanni Bachelet a leggere questo testo, e c’è chi ha riso fino alle lacrime, riconoscendo lo stile paradossale e clownesco dell’amico. Che però centrava il punto, coglieva il vero. Soprattutto gli uomini (le donne, di solito, si concedono pause più brevi) trovano in effetti in quel luogo appartato un porto, un approdo, un’oasi di relax dove letture, riflessioni e meditazioni sono positive, concentrate e liberanti. In quel luogo sono nati nuovi partiti, soggetti per romanzi, idee da brevettare.

Giuntella, che amava raccontare i poeti e gli innamorati nelle strade di Napoli, e le strade di Roma alla Moretti, a bordo di una Vespa, metteva insieme la passione giallorossa con il biancorosso del cattolicesimo democratico di sinistra, Falcao e Zac, il tifo e la fede, le stalle e le stelle.
Il bello della scrittura non convenzionale, non scontata, non retorica - insomma della buona scrittura, minoritaria come la buona politica - è che può alternare argomenti bassi e argomenti alti, trasformandoli comunque in parole intelligenti.

Dal basso del bagno, dunque, Giuntella sapeva salire all’alto del regno (dei cieli). Già malato (coraggiosamente, continuava ad andare in onda dal Quirinale con i segni della sofferenza scolpiti addosso) lui che ci aveva fatto conoscere la resistenza della Rosa Bianca, la rivoluzione di Joan Baez, la profezia di Dossetti, continuava ad indicare l’oltre, l’aldilà, come prospettiva ultima (e tonificante) per l’impegno generoso quaggiù sulla terra. Continuava ad amare la vita che danza.

E scriveva, dunque, nella primavera del 2008: «È questo il mistero delle coincidenze, dell’incontro tra il tuo sogno e la tua rivolta contro la celerità, è questo movimento della tua anima che incontra un segno, un riscontro, un supplemento, una conferma insperata, che rende la tua vita danzante e irripetibile, ricolma di spezie e di sapori.
Sono questi i momenti in cui rintracci nell’aria un disegno, il filo rosso di un gomitolo. Noi pellegrini teneri della ragion provata, crediamo nel ritorno della primavera per tutti, anche per i vecchi e per i morenti, per le anime vive, nelle coincidenze d’amore».

Ragion provata, coincidenze d’amore: il cronista sapeva volare alto, sopra i fatti, oltre la cronaca, nel cuore del mistero.
Alla fine, di una vita umana resta poco. Un corpo che non respira e non risponde più. Un po’ di vestiti. Dischi e libri. I ricordi degli amici. E forse solo la fiducia nel ritorno della primavera che sono riusciti a regalare agli altri, prima di andare.

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