Trentino e Tirolo, manzi e farfalle

Trentino e Tirolo, manzi e farfalle

di Paolo Ghezzi

Il Trentino non è il sud del Sudtirolo, è Italia. Il 4 marzo Diciotto (2018) ha certificato ciò che il 3 novembre Diciotto (1918) aveva sancito: redenti o annessi o conquistati che fossimo, da un secolo ormai Italia siamo. L’anomalia, la diversità, la specialità sono, almeno temporaneamente, sospese.

Gli avversari dei trentini austriacanti, i cantori dell’irredentismo, l’hanno sempre saputo.

«Augusto comprese il Trentino nella undicesima delle regioni italiche. Di questa Italia è parte il Trentino, che se a qualche miserabile uomo di Stato del nuovo Regno parve già una spina tra le due grandi regioni padane, la Lombardia e la Venezia, fu assai meglio rassomigliato ad una grande farfalla, ad una foglia che ha la sua costa nell’Adige e le vene negli affluenti, meglio ancora ad un gran cuore vivace, che ha sempre fatto sentire a sud i suoi palpiti d’amore, a nord i suoi fremiti d’odio, ad un cuore le cui arterie recano il vivo sangue alla Gran Madre, coi fiumi che lo percorrono in ogni senso, tutti rivolti verso il sud, per recare alle materne carezze le vitali energie della terra».

Era il 1916, l’anno dell’uccisione dell’italiano Cesare Battisti, quando Attilio Brunialti vergava queste frementi parole, in un volume di milletrecento pagine pubblicato dalla Utet, «Trento e Trieste - Dal Brennero alle rive dell’Adriatico».

Farebbero bene a meditare queste pagine coloro che si sono cullati sulla «cultura dell’autonomia» immaginando i cittadini trentini come diversi dagli altri, geneticamente al riparo dagli slogan che piacciono alle altre genti italiche, ancora forniti di anticorpi di derivazione asburgica per contrastare le demagogie nazional-popolari.

Un cuore che pulsava verso sud, così Brunialti immaginava il Trentino. E se la prendeva anche con i cronisti cinquecenteschi, che «durante il Concilio famoso... ne parlano, ma piuttosto nei riguardi della salute, del ventre, dei piaceri, che la terra e i suoi abitatori potevano procurare agli illustri prelati». Un Trentino generoso, perfino edonista, ma non rispettato nella sua indomita italianità.

Il librone patriottico sulle due terre irredente ha una «regola certa» per distinguere il Trentino dal Tirolo, ed è la lingua, la dolcezza dell’italiano contrapposta alla gutturalità del tedesco, prendendo a prestito i non immortali versi di Clementino Vannetti: «Quando in parte verrai dove il sermone/ trovi in urlo cangiato, orrido il suolo,/ il sole in capricorno ogni stagione;/ di manzi e carrettieri immenso stuolo,/ le case aguzze e tonde le persone,/ allora di’ francamente: ecco il Tirolo!».

Oggi che il Sudtirolo e il Trentino sono di nuovo - in prospettiva politica nazionale - due mondi a parte, quelle neppur così antiche parole tornano alla mente come una profezia. Chissà che alle elezioni provinciali d’autunno qualcuno non lanci liste italocentriche con nomi fantasiosi e trascinanti, quelli che s’usano in Italia, non i vecchiumi popolari o autonomistici, ma nomi fortemente evocativi come: «Farfalla in Acquario», «Coniglio & Concilio», «Corrente del Sud», «Un secolo d’Italia», «Arridatece piazza Dante», «Arterie patriottiche». O il definitivo «Meno Manzi e più Sole».

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