Etty Hillesum e l'arte della compassione

Etty Hillesum e l'arte della compassione

di Paolo Ghezzi

Il 27 gennaio rischia di usurarsi come un memoriale dell’orrore programmato. Il lager di Auschwitz è stato liberato 73 anni fa e la Giornata della memoria è stata istituita 13 anni fa ma il rischio è che il ricordo di un enorme crimine contro l’umanità (non certo l’unico, ma forse il più «scientifico») diventi ritualistico, retorico, roboante e non penetrante. Certo, gli studenti vanno - a milioni - a visitare i campi di sterminio e si commuovono. Ma anche questo doveroso pellegrinaggio corre il pericolo di trasformarsi in una contemplazione, attonita e senza parole, della macchina del male. Turismo del terrore.


La memoria del male, viceversa, dovrebbe indurre a praticare le parole del bene. Esemplare, a questo riguardo, la lettura che Radio3 ci regala in questi giorni (riascoltabile in ogni momento, al computer o al telefono, su RaiPlay Radio): il diario di Etty Hillesum, ebrea olandese di Amsterdam che, pur potendo fuggire, rimase a vivere e a morire (a 29 anni) con la sua gente.


Ecco, Etty - nel raccontare quel tempo sospeso tra i brandelli della vita che restava e l’avanzare del sistema della morte - riesce a studiare, a lavorare, a innamorarsi, a stupirsi della bellezza del mondo e a ringraziare Dio anche grazie alla scoperta della forza poetica e rivoluzionaria del Vangelo che, da ebrea, sapeva leggere con una fascinazione personale e profondissima.
Invece di ricordare solo i «campi di sangue» di un dittatore isterico circondato da gerarchi sadici, nelle scuole sarebbe bello leggere o ascoltare Etty Hillesum: si imparerebbe pure a scrivere un diario, un’arte difficilissima in cui lei eccelle, mescolando sapientemente il privato (l’intimità, anzi) e il pubblico (la ruota della storia), il quotidiano e il sublime, il corpo e la spiritualità.


E, soprattutto, Etty insegna a badare al bene piccolo anziché al male grande, all’amore anziché all’odio. Lei descrive l’orrore dei tristi esseri umani dedicati all’ingranaggio della morte, ma anziché perdere tempo a odiarli, ne compiange l’infelicità abissale. Mentre Etty vibra di passione per il mondo e ne loda ciò che ancora riesce a darle di buono, senza invidia e senza rancore.
Certo, solo le grandi anime come Gandhi sono capaci di mettere la mano con cuore puro negli ingranaggi della storia e solo i cuori puri come Etty Hillesum sanno testimoniare la permanenza di un «frammento di Dio» nelle anime degli uomini schiacciati dalla storia.


«L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima».
Etty amava le anime, gli esseri umani anima e corpo, i libri e i fiori. Nei giorni della memoria, ci piace ricordare la sua vita e le sue parole invece del luogo orribile della sua morte. Lei ci offre se stessa - nel Diario - «come campo di battaglia», un campo tutto suo, sottratto perfino alla guerra, dove non vince il più forte ma il più disarmato, dove prevale un’infinita, sovrumana ma umanissima, com-passione.

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