Nel nome di Eva, cioè della madre

Nel nome di Eva, cioè della madre

di Paolo Ghezzi

Nel nome del padre e nel segno della madre. Quando il vescovo di Trento, nel Te Deum di fine anno, vigilia della solennità della madre di Dio, ha detto appassionatamente grazie alle mamme, quelle che ci sono e quelle che non ci sono più, non ripeteva solo il tradizionale inno alla maternità che la Chiesa - che si autodefinisce madre - ha sempre cantato.

Forse c’era anche una vena autobiografica, in lui che ha perso il papà da bambino. Forse solo chi ha capito fin da piccolo il coraggio che serviva a una donna - in tempi ancora dominati dall’uomo - per tener duro da sola, e crescere i figli spendendosi totalmente, può cantare la madre senza gli eccessi glicemici del mammismo all’italiana.
D’altra parte, le Chiese cristiane ci hanno abituati a riflettere sul rapporto speciale madre-figlio: ti dicono che un bambino nato povero è Dio, che sua mamma l’ha partorito ma non conosceva uomo, che il suo papà non è biologico ma è bravissimo, un santo. E tre giorni dopo il Natale il calendario liturgico ci ricorda che un re cattivissimo ha fatto strage di bambini innocenti, proprio per farla pagare a quel piccolo figlio di Dio. Come dire, la storia resta insanguinata, e le mamme lacerate, perché il potere (da sempre maschile) non ha pietà neppure dei bambini, neppure delle lacrime di chi li ha messi al mondo.
L’evocazione-invocazione delle madri pronunciata da don Lauro la sera del 31 dicembre evoca a sua volta tre grandi libri sulle madri.

«Penny Wirton e sua madre» di Silvio D’Arzo (nella sua breve vita, orfano povero di padre) è favola nera e trasfigurata: una donna sola con poteri supernaturali di ispiratrice di gravidanze altrui e il suo bambino intelligente ma indocile, vestito di giallo. Eraldo Affinati, anche lui indagatore, con motivi autobiografici, degli intrecci difficili tra padri madri e figli, ha scelto proprio Penny Wirton come nome delle scuole, ormai diffuse in tutto il Paese, dove insegnanti volontari insegnano l’italiano ai minorenni stranieri approdati da noi, poveri come Penny.

«Le ceneri di Angela» di Frank McCourt (20 milioni di copie) è lo straordinario affresco di una irlandese di Limerick e della sua famiglia spiaggiata e sballottata tra le due coste dell’oceano, tra l’isola verde dei balli e della Guinness e New York, la città-madre dei figli di ogni città.
Meno conosciuto (e per molti aspetti inquietante) è «Orfeo in paradiso» di Luigi Santucci, dove Orfeo è un uomo che non si rassegna alla perdita della madre dopo una vita non lunga e non felice e - sul punto di gettarsi nel vuoto da un pinnacolo del Duomo di Milano, sotto lo sguardo di una madonnina d’oro, mamma di tutti - intravede una cardellina che vola tra le guglie, intuisce che si tratta della mamma e stringe un patto con il Signore degli Uccelli. Monsieur des Oiseaux lo proietta indietro nel tempo, alla Milano del 1893, e gli fa così conoscere sua madre Eva quando è ancora in gestazione nella pancia della sua mamma Maria (la nonna di Orfeo). Un viaggio a ritroso, poetico e stralunato, che lo porta perfino a contare i morti nelle strade per le cannonate di Bava Beccaris ma soprattutto gli fa incontrare la bambina che poi lo metterà alla luce: «Sulla bilancia del mondo era già caduto quel pugno di sostanza vivente che gestava nel grembo di Maria Grillo, e che a lui sembrava dovesse decidere del durare o scomparire del mondo».

Orfeo scopre così l’eden del passato, che lo autorizza a «una sorta di angelico egoismo. E paradiso era per Orfeo quell’indifferenza, quella decorosa esenzione dalla pietà. Le persone che circolavano per le strade e nei caffè», l’accattone implorante e la mondana allettante, «erano chiusi nella loro sorte già compiuta e inalterabile. Non serviva provarne ansia o fastidio, neppure occorreva avere pietà». Osservare, di ritorno dal futuro, quegli uomini del 1893-98, era come guardare un acquario, una peschiera «nella quale resta chiuso, insieme a ogni minimo brusio, il dolore dei pesci e delle alghe».

A Orfeo, nel suo «angelico egoismo», l’egoismo di tutti i bambini che vogliono essere amati e felici, interessa solo e soltanto una bambina, Eva, la sua futura mamma, a cui vorrebbe - ma non può - evitare la tristezza del vivere: «Eva, nella peschiera, era il pesce di cui gl’interessava la voce».

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