Piccole librerie, porti da salvare

Piccole librerie, porti da salvare

di Paolo Ghezzi

Un porto, un salotto, una pista di decollo, è una libreria. Perlomeno dovrebbe esserlo. Se è un supermercato di libri, non è una libreria.
Un porto che accoglie le storie del mondo. Un salotto dove si incontrano i personaggi dei libri. Una pista di decollo per i voli letterari, che ti portano altrove, lontano: via via, portami via da qui.

Chissà se il tax credit per le piccole librerie introdotto nella legge finanziaria sarà, come dice un soddisfatto ministro Franceschini (pure lui romanziere, nei ritagli della politica), un passo avanti decisivo verso uno Stato che - con la leva fiscale - aiuta la cultura invece di penalizzarla.

È comunque un passo positivo: le attività commerciali specializzate nella vendita al dettaglio dei libri potranno utilizzare un credito d’imposta parametrato agli importi pagati di Imu, Tasi e Tari e alle spese di affitto. Lo sconto fiscale sarà fino a 20mila euro per le librerie indipendenti, a 10mila euro per quelle appartenenti a gruppi editoriali.

La piccola libreria - a differenza degli scintillanti scaffali di catena - può essere un piccolo porto, un piccolo salotto, una piccola pista di decollo.

Un posto dove si entra e ci si sente bene. Accolti e un po’ coccolati. A patto che siano soddisfatte, però, alcune condizioni. Diciamo sette.

  • Il luogo deve essere bello. Illuminato bene, non troppo. Arredato con gusto. Non anonimo. Con almeno un divanetto o una poltrona dove poter sfogliare, annusare, conoscere i libri.
  • La vetrina deve già esprimere il gusto del libraio: non una catasta di copertine, ma un invito a un percorso, con valorizzazione di alcuni titoli, non troppi.
  • Il libraio o la libraia devono essere competenti ma non onniscienti, curiosi ma non fastidiosi, cortesi ma non invadenti. Gradito il buon gusto nella confezione dei pacchetti regalo.
  • La piccola libreria, non potendo contenere tutto, deve specializzarsi in alcuni campi, proporsi soprattutto su alcuni territori. Avere tutto il meglio sulla musica, per esempio, ma solo alcune buone cose sulla gastronomia. O viceversa.
  • La piccola libreria intelligente non dovrebbe essere schiava delle novità e delle mode. Non tutti i libri che passano da Fazio sono geniali come li «vende» Fazio. Gli ultimi titoli di Fabio Volo, Bruno Vespa, Walter Veltroni e Bebe Vio - solo per fermarsi alla V - non dovrebbero sottrarre spazio prezioso ai Fenoglio, ai Landolfi, ai Maggiani, ai Niffoi.
  • La piccola libreria dovrebbe avere sempre una copia dei classici, quelli antichi e quelli contemporanei, anche in diverse edizioni. Bibbia, Cervantes, Shakespeare, Balzac, Proust, Dickens, Tolstoj e Dostoevskij non possono mai mancare. In Italia dovrebbe avere sempre i libri scritti nel migliore italiano, che insegnano a scrivere in italiano: dunque «I promessi sposi» ma anche «Il prete bello» di Parise; «Orlando furioso» ma anche «Il barone rampante» di Calvino.
  • Una piccola libreria dovrebbe avere un bel nome, una bella porta d’ingresso, una buona musica in sottofondo (leggero). Dovrebbe avere un orario umano ma, almeno una volta in settimana, continuato e, almeno una sera in settimana, prolungato. E proporre presentazioni (non troppo frequenti) solo con autori simpatici, che non se la tirano, che non annoiano e che non dicono banalità.


Altro che tax credit, ministro Franceschini: librerie così meriterebbero l’esenzione fiscale come benefattrici dell’umanità.

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