Cose che capitano quando hai 64 anni

Cose che capitano quando hai 64 anni

di Paolo Ghezzi

Invece di sparare nel mucchio di una fremente folla folk, il superkiller sessantaquattrenne di Las Vegas - ragioniere in pensione senza precedenti penali - avrebbe fatto meglio a versarsi un bicchierino di Porto o un calice di Pinot nero, sedersi in poltrona, mettersi gli auricolari, rilassarsi e ascoltare una canzone dei Beatles di giusto cinquant’anni fa.

La canzone è «When I’m sixty-four», appunto, «Quando avrò sessantaquattro anni».

La prima preoccupazione del giovane McCartney, che nel frattempo ha brillantemente superato il suo 64° compleanno e tutti i successivi, era sentimentale: «Ma quando perderò i capelli mi manderai ancora gli auguri per San Valentino?».

Non c’era ancora il cult del maschio calvo (o glabro). Duro e lucente. I capelli erano un segno di energia vitale, nel 1967. «Hair», opera rock capolavoro, celebrazione dei capelli, dei capelloni e del capelluto pacifismo, è dello stesso anno. Il Sessantotto si annunciava con la contestazione dei barbieri.

La seconda ansia del venticinquenne Paul, che si proiettava nel McCartney senior di 40 anni dopo, atteneva all’area della sopravvivenza e tradiva una (autoironica?) vena maschilista: «Se tornerò a un quarto alle tre, mi chiuderai fuori dalla porta o avrai ancora bisogno di me, mi darai ancora da mangiare? Sarai invecchiata anche tu, ma se per te va bene, mandami un biglietto, potrei restare con te».

Non troppo galante ma estremamente pratico: i fast food aperti «h24» (sigla spaventevole!) erano ancora di là da venire; un maschio britannico, per quanto ubriaco e randagio, aveva diritto almeno a un piatto di montone freddo ad aspettarlo sulla tavola, al rincasare notturno.

In cambio, il giovane Beatle elencava le qualità di un vero inglese tutto pub e famiglia: «Potrei cambiarti il fusibile quando ti saltano le luci, sradicare le erbacce nel giardino mentre tu cuci un maglione davanti al caminetto, e la domenica mattina portarti a fare un giro».

Un sogno/incubo domestico (a seconda dei punti di vista) che si completava, nel finale della canzone, con l’ipotesi di una vacanza non mediterranea e presumibilmente piena di spifferi gelidi: «Ogni estate potremmo affittare un cottage all’isola di Wight - se non è troppo cara - dovremo lesinare e risparmiare».

Con una consolazione, però: «I nipotini sulle tue ginocchia» (alla nonna è delegata la cura dei discendenti oltre a quella della casa), tre bambini chiamati «Vera, Chuck e Dave» (rima con «save», risparmiare). Dal che si ricava un afflato altruistico del signor McCartney: i nipoti riscaldano la nonna con il loro calore umano, mentre lui si accontenta del plaid (e presumibilmente di un goccio di sherry).

Vale la pena di arrivare a 64 anni per vivere dentro una «cartolina» così?

La risposta è soggettiva e travalica le scenette dell’allegra-malinconica canzone dei Beatles. Certo, nel quarto e ultimo tempo dell’esistenza, grati per aver potuto giocare i primi tre quarti, si dovrebbero perseguire, come ci insegnano i filosofi, la maturità l’equilibrio e la saggezza senza smettere di amare sognare pensare e godere la vita.

Ed è dunque orribilmente fuori tempo massimo il gesto distruttivo del sessantaquattrenne appassionato di carabine che fa strage a un concerto. Guns senza Roses, fucili invece dei fiori.

E il disgraziato comprava mitragliatrici al supermercato invece di ascoltare il country, leggere Ken Follett, pedalare sulle ciclabili, coccolarsi la fidanzata Marilou e preoccuparsi della sola, vera, inquietante domanda sul futuro prossimo venturo: «Ci sarà ancora qualcuno che mi vuol bene, a 64 anni?».

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