Chiara e Juri voci nel silenzio

Chiara e Juri voci nel silenzio

di Paolo Ghezzi

Ci sono le reclusioni fisiche, dei prigionieri o degli eremiti. O degli eremiti che si occupano dei detenuti, come Juri Nervo, che però la sera lascia il suo eremo del silenzio presso le carceri di Torino e torna a dormire da sua moglie, perché nessun uomo, se solo può, è un’isola.

E ci sono le reclusioni imposte da malattie severe, che limitano le possibilità di movimento, di azione, di lavoro, ma non impediscono la comunicazione con gli altri. Ci sono 26mila mail - e il suo cruccio è non poter rispondere  a tutti - nell’archivio digitale di Chiara M., nota autrice trentina (scoperta da Vito Mancuso quando era alla San Paolo), che ha scritto apprezzati testi di autobiografia spirituale (ovvero di «mistica quotidiana»), come «Crudele dolcissimo amore» e «Oscura luminosissima notte» (l’ossimoro, l’apparente contraddizione è una delle cifre più personali del suo scrivere).

Chiara è in questa condizione di involontaria prigionia di un corpo assediato da una malattia rara e progressiva che le rende complicata e faticosa, giorno dopo giorno da tanti anni ormai, la quotidianità che i «normali» danno per scontata. Eppure la sua condizione non le ha tolto la voglia di confrontarsi, di interessarsi alle vite degli altri, cosa non scontata in un’epoca in cui la comunicazione «social» si riempie di vanità autobiografiche, di chiacchiere bagatellari, lasciando poco spazio alle esplorazioni dialogiche.

Da un dialogo via mail tra il torinese e la trentina (partito dalle «Righe storte», che è un altro titolo di Chiara) è nato un nuovo libro che affronta alcuni nodi delle nostre esistenze, come la solitudine e la morte, e - più che dare ricette o risposte - propone piste per pensare un po’ di più il senso delle nostre giornate.

«La cella e il silenzio e altre piccole occasioni di libertà» è il titolo del libro (sarà presentato questo pomeriggio al Vigilianum di Trento), un rimpallo meditato tra due voci diverse che però vogliono capire il punto di vista dell’altro.

Te ne canterò quattro, per il trattamento ricevuto su questa terra

Chiara M., che ama chiamare Dio «il socio», non offre di sé un autoritratto pacificato e angelicato ma biblicamente e giustamente si arrabbia sulla sua sorte, soprattutto quando i dolori diventano troppo duri da sopportare, “minacciando” il socio di chiedergli il conto un giorno, una volta varcata quella soglia: «Te ne canterò quattro, per il trattamento ricevuto su questa terra. Mi spiegherai “perché”... Mi ridarai tutto quello che ho perso, con gli interessi!».

Però si corregge subito: «Non ci sarà bisogno di spiegazioni, non ci saranno discussioni. Ci guarderemo. Lui mi guarderà e sarò nel Suo abbraccio senza fine».

Ma prima di pensare a un’altra vita, c’è da fare i conti con questa: e su questa vita qui riflette Chiara, che - se appena può - dedica tempo a leggere con attenzione ciò che le scrive ciascun interlocutore, non cercando di immaginare, di indovinare i volti, ma andando al fondo delle parole che le scrivono, al cuore della questione, all’urgenza della domanda.

In questo modo, lei stessa affronta un cammino interiore, che - al pari di un Camino di Santiago - apre gli occhi sulla irresistibile bellezza del mondo a partire dai dettagli, dalle piccole cose, dagli incontri minimi, dalle sorprese quotidiane, dalle osservazioni minute. Perfino di un pavimento. Lei chiama «la matematica delle piastrelle» l’osservare, magari durante una lunga sala d’aspetto in ospedale, i lati le misure e le combinazioni delle piastrelle, le somme degli spazi e le righe che li delimitano; fino alla scoperta, tra le piastrelle in simil cotto del poggiolo di casa, di un filo d’erba cresciuto fuori posto ma tenacemente vivo, fratello dei fiori che crescono tra le rocce delle montagne dove Chiara non può più camminare.

Le «piccole occasioni di libertà» sono anche queste: pensieri sparsi nel silenzio, nella solitudine. «Il silenzio - scrive Juri a Chiara - costringe a tirare le somme: si è obbligati (almeno con se stessi) ad essere autentici».

L’autenticità è ciò che Chiara M. cerca e insegue da quando ha cominciato a scrivere: lei scrive per parlare con le persone che la cercano, e cerca le persone che le scrivono, cerca il segreto della loro interiorità, il punto focale del loro camminare. E mentre sogna un eremo vero, sulle Dolomiti che ama, Chiara M. in realtà offre ai suoi corrispondenti la porta aperta del suo eremo di città, dove la fatica quotidiana che la accompagna è anche la chiave che lei usa per comprendere la fatica degli altri. E cercare di alleggerirne il peso.

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