Sir Tate ha avuto il presentimento?

Sir Tate ha avuto il presentimento?

di Paolo Ghezzi

Se sapessimo, con largo o scarso preavviso, il giorno - non si dice proprio l’ora, il minuto esatto - della nostra morte, che cosa faremmo alla vigilia, nei giorni precedenti?

Certo ci porremmo il problema di dover fare cose diverse, mai fatte, o troppo a lungo rinviate. Chiudere conti. Spiegarsi con qualcuno. Salutare qualcun altro. Finire il libro sul comodino.

Ascoltare finalmente quella musica. Vedere quella montagna. Camminare su quel sentiero.

Forse però il saggio che si fosse scelto la vita che voleva, che poteva (contadino, idraulico, impiegato, professore, autista, muratore, poeta, alchimista, prestigiatore) continuerebbe a vivere, anche le ultime ore, come se non sapesse: facendo il suo lavoro, amando chi ama, ripetendo gesti ripetuti ma con una consapevolezza fatale, una lucidità luminosa.

Forse è una fortuna che non lo sappiamo, qual è la vigilia del nostro giorno fatale, quello che segna l’ultimo di questa vita e, chissà se ci sarà, il primo di un’altra.
Non lo sapeva Sir Jeffrey Tate, che mercoledì scorso a Trento dirigeva la Haydn e neppure 48 ore dopo moriva in una galleria d’arte di Bergamo, come a dire: dalla bellezza della musica a quella dell’immagine dipinta, da un capolavoro viennese da ascoltare a quelli italiani da contemplare.

La Nona di Mahler - scritta per gran parte nella sua penultima estate a Dobbiaco, l’ultima sinfonia che ha completato, forse per evitare l’arroganza di superare Beethoven (la decima di Mahler è incompiuta) - si chiude con un Adagio, e già questa è un’anomalia, tra le sinfonie che di norma finiscono con un movimento sostenuto, gesti energici, accordi stentorei, esiti fragorosi o soltanto solenni.

Tate, una settimana fa, è sembrato voler dilatare quella lentezza, distillare le note, adagiare l’adagio in un fiume di suono quasi impalpabile, in un orizzonte che sfumava, al rallentatore, nell’impercettibile all’udito. The Sound of Silence, già: il suono del silenzio. Secondo Andrea Brunello, violoncellista: «La musica e i suoni, non avendo una loro fisicità, si potrebbe dire che svaniscano e scompaiano nel silenzio. Sembra un controsenso, ma la musica fa ascoltare il silenzio, oltre che essere ascoltata in silenzio».

Tornando alla Nona e al quel suo ultimo movimento, Johannes Streicher, critico musicale dei libretti di sala Haydn, spiega così: «...Il quarto movimento non vuole polemizzare con nessuno, non ha obiettivi terreni. Se l’Adagio sul piano formale consta di una serie di dodici variazioni, all’ascolto si perde la cognizione dei principi costruttivi e ci si abbandona a un canto ultraterreno di una purezza sublimata, quale è stata raggiunta raramente nella storia della musica».

Ripensando quell’adagio lentissimo, quel pianissimo portato ai limiti dell’udibilità, quasi per consentire al pubblico di percepire il battito dei propri cuori e ai professori d’orchestra di sentire il respiro faticoso dei poveri polmoni del direttore afflitto da una grave malformazione che ne angariava i movimenti eppure non gli ha impedito di salire alle vette della musica; ripensando quello scivolare rallentato dalla musica al silenzio, non si può non pensare, con la notizia di 48 ore dopo, che quello fosse un addio. Alla Nona, a Mahler, alla musica e al mondo.
E chissà se Sir Jeffrey Tate, medico e pianista e direttore, lo aveva intuito, chissà se un’ombra lo ha attraversato.

Magari, già dirigendo il primo meraviglioso movimento («andante comodo») ha pensato a quel che ne aveva detto Alban Berg: «È la cosa più splendida che Mahler abbia scritto. È l’espressione di un amore inaudito per questa terra, della nostalgia di vivere in pace con la natura e di poterla godere fino in fondo, in tutta la sua profondità, prima che giunga la morte. Perché essa arriva senza scampo. L’intero movimento è permeato dal presentimento della morte».

Chissà se l’ha avuto, il presentimento, il maestro;
di certo, dietro le quinte, ha trovato il tempo (cosa per lui inusuale) di fermarsi qualche minuto e concedere addirittura qualche selfie agli studenti del Conservatorio che avevano integrato l’Orchestra Haydn nello sterminato organico della Nona.

Si è congedato così, nella nostra città, un signore della musica sinfonica e dell’opera lirica. Ripensando a quel suo finale, quasi un sospiro trattenuto, si apprezza ancor più il dono signorile della musica, il suo miracoloso mistero: musica è ciò che comincia dal silenzio che la precede, vive nel silenzio di chi l’ascolta, muore nel silenzio che la segue. Sarà per questo che è imparentata alla matematica e alla filosofia, le alte arti che ne condividono l’alto ardire di immaginare l’infinito.

Là, oltre il colle della vita quotidiana.

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