Quattro diciottenni in fuga dall’acquario

Quattro diciottenni in fuga dall’acquario

di Paolo Ghezzi

Possono quattro diciottenni decidere insieme di sparire in un buco nero, senza dire niente né ai genitori né agli amici né alle ragazze, senza un vero motivo, solo perché hanno deciso - insieme - di farlo?

Può bastare, a quattro ragazzi italiani esentati dalla naja militare ma non dalla noia liceale (sono gli unici maschi della loro classe) il video di un campo di addestramento bellico, un video ben girato di altri ragazzi che si allenano all’arte della guerra per scegliere di scappare - insieme - da un mondo in apparente pace?

Il quarto romanzo del pavese Giorgio Scianna - come il penultimo, fortunato «Qualcosa c’inventeremo», sempre Einaudi - mette in scena una storia di ragazzi: lì due fratelli rimasti senza genitori, qui i quattro amici coetanei e i loro otto devastati genitori, una storia implausibilmente plausibile.

Smarrimento di adulti per ragazzi smarriti (i maschi, i più fragili ormai), galassie lontane, orbite separate. L’autore, classe 1964, riproduce codici linguistici incompatibili, di pianeti non comunicanti, gesti abitudini parole e soprattutto pensieri che sfuggono, scivolano via, slittano inesorabilmente altrove.

E quando, oltre alle teste e ai pensieri, slittano via anche i corpi, inghiottiti in un silenzio implacabile, comincia la storia di «La regola dei pesci» (i pesci non si scontrano mai perché si fidano del movimento simultaneo degli altri), bel titolo per un romanzo che non è di formazione ma semmai di deformazione, illusione ottica e disapparizione. Ben poco sappiamo dei quattro protagonisti, in fondo: Lorenzo zoppica, Anto è un secchione, Roberto ama il calcio inglese, Ivan va pazzo per il seno di Nadine.

L’autore non è curioso delle loro quattro storie individuali - solo di Lorenzo, io narrante prevalente, rivela qualcosa di più - ma ci cala chirurgicamente nel misterioso e letale «patto a quattro» che li perde. Un patto che, a suo modo, ciascuno dei quattro non tradisce, alla fine, nonostante temporanei abbandoni, deviazioni, vigliaccherie. Che sia un patto che non ha riti né miti, è ciò che forse inquieta e spiazza di più, trasformando una storia generazionale in un giallo internazionale quasi senza «storia», una vicenda mancata e sospesa, ma con un crescendo drammatico da nodo alla gola, da bocca secca, da apnea.

Il legame profondo e complice tra i quattro desaparecidos senza legge né bandiera, il cordone ombelicale che li strappa alle loro case, alla classe liceale, all’Italia all’Interpol e all’internet, è un cordone di sangue che li nutre, li strangola e li salva insieme.

I pesci sono solidali e muti: la loro lingua è indecifrabile per chi non ha squame né pinne.

Sono quattro nichilisti inconsapevoli, insorti ignari, rivoluzionari involontari. C’è la provincia lombarda, ci sono l’Adriatico e i suoi traghetti, la Turchia e la Siria. Un Mediterraneo livido, senza colori. Senza vera bellezza. Come il loro sogno nato da un video infiammato e fallito presto.

Dove non falliscono i quattro fantasmi è nell’infliggere ferite feroci ai genitori che restano e non sanno più nulla, e possono solo contemplare un acquario improvvisamente disertato dai suoi sfuggenti abitatori. Non è colpa dei padri né dei figli, non è colpa di nessuno. Non è un problema di mancato dialogo intergenerazionale. Semplicemente, succede. Le loro strade non sono le nostre strade. È la legge della specie.

Giorgio Scianna - abile nel riprodurre i conversari smozzicati dei diciottenni, i loro gusti allineati e la loro psicologia rudimentale, ancora più abile nel creare suspense e incrociare i punti di vista e i tempi narrativi in una trama incalzante - è fin troppo indulgente verso i pesci che scappano senza davvero sapere perché: regala ai superstiti perfino una nuova via di fuga nel finale. Un’altra occasione per non tornare a casa, nelle loro domestiche morbidissime insopportabili prigioni.

Però lo scrittore ha il merito di non attribuire al quartetto un’incongrua nobiltà d’animo e neppure la palma del casuale martirio (anche se il sangue di uno di loro si spargerà). Non giudica: racconta, colleziona indizi e annota, in una strana storia sospesa e privata, senza politica e senza giornali: solo quattro famiglie, un consigliere diplomatico e l’incubo dell’Isis-pifferaia di Hamelin al di là del mare.

Forse l’unico sussulto davvero umano, l’unico battito ectopico del cuore è in Lorenzo, nel come immagina minuto per minuto il dolore di papà e mamma quando troveranno il suo letto vuoto, i gesti che compiranno, le telefonate che faranno, le porte che apriranno e chiuderanno.

O quando pensa con un guizzo di tenerezza (ittica?) alla sorellina Benedetta, a cui porta un regalo da ogni viaggio e per non deluderla dopo quello maledetto, come souvenir della fuga ricicla un sottobicchiere da birra, un pezzo di cartone piegato che la bambina conserverà come una reliquia, perché un fratello maggiore è sempre un mito magico e mite. Anche se ha scelto la compagnia silenziosa e perigliosa dei pesci fantasma.

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