La mano del maestro sulla montagna magica

La mano del maestro sulla montagna magica

di Paolo Ghezzi

Nel dirigere i coristi della Sat, dall’estrema destra (per lo spettatore) del semicerchio vocale, mimetizzato nella posizione dei bassi, un giubbotto di daino tra gli altri, uno qualunque di trentatré trentini intonati, il maestro è un direttore quasi invisibile: non si distingue, non comanda, non si sbraccia.

Tiene il braccio sinistro dietro la schiena, canta con gli altri, non enfatizza il gesto, quasi si nasconde nello spirito del gruppo: l’unica differenza con gli altri cantori è che la mano destra di Mauro Pedrotti «rompe le righe», si muove, seppur impercettibilmente, spunta dal fianco, discreta e quasi invisibile, dita che toccano l’aria in punta di... piedi.

Avendo interiorizzato la lezione di un armonizzatore di talento come Arturo Benedetti Michelangeli e coltivato un gusto raffinato (perfino troppo, secondo chi preferisce una coralità più colorita e canora) per le tinte tenui e per i «pianissimo» ai limiti dell’udibilità, una sorta di delicato sussurro collettivo che diventa l’onirica ninna nanna di «’Ndorménzete popìn», il garante del carisma Sat (un coro che è la montagna magica e in-cantata della tradizione trentina) domenica ha celebrato i 90 anni dell’ensemble canoro otto giorni dopo i «cugini» della Sosat: e ha tenuto fede al suo stile «minimalista», a una sobrietà che non si improvvisa, e resiste anche alla retorica dei compleanni, delle celebrazioni, dell’Aquila di San Venceslao, della magnifica e progressiva autonomia, alla gloria di questo mondo.

Quella mano che si muove «sottovoce» è l’emblema di uno stile inconfondibile e inimitabile, del marchio Sat. Perfino quando deve accendere le esplosioni dei «fortissimo», spingere i pedali di quell’organo umano che è il coro, il maestro si limita a una torsione di avambraccio, a una vibrazione appena aumentata delle falangi, non alza mai il gomito, non arringa le folle, e poi richiude le dita sul palmo, come a risucchiare lì dentro tutta l’energia irradiata dalle voci dei coristi.

Così come i pianisti più grandi non hanno bisogno di esibizioni muscolari e di caricature lisztiane, il maestro del coro della Sat predilige una specie di ritrosia britannica all’esibizione, un’aurea discrezione: e a tutti noi - tentati, come siamo, dalla retorica, dall’amplificazione e dal rinforzo - insegna la misura, la modestia, l’essenzialità del gesto, la giusta dose di energia, la modica quantità dei punti esclamativi, la virtù della sottrazione. Insomma, lo stile quasi benedettino del microcosmo satino: ora et canta et labora. La mano destra di Mauro Pedrotti danza in pochi centimetri quadrati d’aria come avesse un pennello in mano: ed ecco che ci pare di vederle, la pastora e la Soreghina e la Dosolina, i loro caprìn e le loro sorelline, in tinte tenui d’acquerello. Graziate dal coro, eterne bambine.

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