Cugina Britannia, rimani con noi

di Paolo Ghezzi

Brrr. Brexit sarà una breccia da brivido o una breve bruciatura? Brancolano nel buio gli economisti, bravissimi a prevedere come andranno le cose solo dopo che le cose si sono verificate.
La verità è che nessuno sa davvero che cosa succederà, perché non è possibile una simulazione in laboratorio e non c’è un precedente che ci ammaestri.

Ma l’ipotetica bruciante breccia Brexit è l’occasione per ripensare quanto noi europei continentali dobbiamo a quell’isola lassù, e quanto ci perderemmo - in termini culturali - se ci amputassero Albione, al di là della empatica antipatia che trasudano la Regina, il Principe Carlo, Cameron e compagnia.

Azzardiamo un elenco incompleto, in ordine sparso, per associazione di idee, di mera memoria, senza andare su Internet.
L’immenso Shakespeare. L’irruente rugby. L’irresistibile football. Il tè delle cinque, scuro, con una goccia di latte. Eric Arthur Blair, in arte il profetico George Orwell. Paul, John, George e Ringo, gli inarrivabili quattro. Be’, gli imprescindibili cinque Genesis e, se siete di manica un po’ più larga, i Pink Floyd. A proposito, la Manica con le mitiche bianche scogliere di Dover. I cappellini futuristi delle signore al concorso ippico di Ascot. Il War Requiem di Britten. Pomp and Circumstance di sir Edward Elgar. God Save The Queen che è più bello di Fratelli d’Italia.

Tommaso Moro che ci consegnò l’Utopia di un mondo giusto. Le gloriose eutopie calcistiche del Tottenham, del Liverpool, del Manchester United, del Chelsea, fino al Leicester di Ranieri. Harry Potter e tutte le loro tetre meravigliose gotiche public schools. Le regate Oxford/Cambridge. Ah, ecco: i tre uomini in barca di Jerome Klapka Jerome, ovvero il trionfo del british humour. Le verdi brughiere di Scozia. Le moto che volano sul circuito dell’isola di Man. La Mini Minor. La Jaguar. Sir James Bond, agente segreto. Graham Greene che come pochi ha raccontato eroismi e debolezze di noi umani.

E Alfred Hitchcock, naturalmente, che come mai nessuno più ha tradotto in film il brivido britannico della paura. L’inno Jerusalem con il testo di Blake (che immagina i piedi di Nostro Signore tornare sulla terra a calcare i verdi prati inglesi) rifatto dagli Emerson Lake & Palmer. Hyde Park (a proposito, Dottor Jekyll e Mister Hide e tutto Stevenson) e St. James Park, a Londra, con i loro laghetti. Gli autobus rossi a due piani, i taxi neri: ok, banale. Le mazze piatte del cricket e i suoi fantastici giocatori di bianco vestiti. Alice nel paese delle meraviglie (grazie, Lewis Carroll!). Il primo sindaco musulmano di una grande metropoli, che viene intronizzato in una chiesa cristiana. Già, e l’abbazia di Canterbury? E i racconti di Canterbury? E Thomas Becket? Ma anche le fish and chips, un signor giornale come il Guardian, o come era il Times.

E l’etichetta discografica Island. Per la quale ha inciso tre dischi ultraterreni la voce profonda e blu di Nick Drake. Gli impronunciabili nomi gallesi, il whisky scozzese, le nuvole bianche e grigie sul lungomare di Brighton. I Golden Retriever, cani gentili dai capelli dorati, sul lungomare ma anche altrove. I meravigliosi romanzi di Dickens. Tutti. Da Oliver Twist a David Copperfield a Grandi Speranze.
Per questi e altri cento motivi, speriamo che non escano dal nostro condominio Europa, i cugini insulari. Potete essere isolani senza essere isolazionisti. Restate ancora un po’. Con la vostra sterlina e i vostri baronetti. Anche con la vostra supponenza. Fateci compagnia, sulla barca dell’Unione.

Non aprite quella breccia. Restate, please. A cup of tea?

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