Le App di Francesco e le parole antiche

Le App di Francesco e le parole antiche

di Paolo Ghezzi

«La vostra felicità non ha prezzo e non si commercia; non è una “app” che si scarica sul telefonino». «Se nella vita non c’è Gesù, non c’è campo». Papa Francesco dixit.
La Chiesa cattolica è riuscita a vivere per due millenni dopo la morte (e resurrezione, per chi ci crede) del suo fondatore proprio perché, come il suo fondatore che si è incarnato nel ventre di una ragazza ebrea, si sa incarnare nel linguaggio del suo tempo. Il fondatore parlava di reti, di pesca, di fichi, di seminatori, di pastori e agnelli. Il successore di uno di quei pescatori che andarono dietro al fondatore, abbandonando le loro reti sulle barche, ora si rivolge ai giovani sfoderando analogie e metafore da epoca digitale, dominata dalla retorica e dalla lingua contratta dei cellulari.

In cinquant’anni, un bel salto, dalle apparizioni alle app. Basta, per farsi ascoltare dai giovani che, in gran parte, hanno rimosso il sacro dal loro orizzonte quotidiano e non hanno Gesù di Nazareth in rubrica? («Richiama Dio, digli così/ Mi aspettavo un messaggio privato e lo aspetto ancora qui/ Chissà se lui mi avrà in memoria», cantava il metaforico Samuele Bersani).
Certo che non basta, la retorica app-papale. E quello straordinario uomo di vangelo e comunicazione che è Jorge Mario Bergoglio lo sa bene. Però, come Gesù parlava di pecore nei campi, lui parla di campi di cellulare. Corre il rischio della banalizzazione mediatica per la sfida di farsi ascoltare.

Anche il nuovo arcivescovo di Trento, subito prima della sua ordinazione episcopale, nel giardino del palazzo di Curia in cui ha deciso evangelicamente di non abitare, ha detto ai giovani che in autunno li ascolterà per imparare le parole nuove per entrare in sintonia con loro.

Bergoglio e Tisi, come tutti i pastori che vogliono parlare alle pecore, agli agnelli (e ai lupi!) di oggi, sanno però che la vera scommessa è farsi capire senza depotenziare il messaggio. Che è e resta, per fortuna, antico. Radicale, dolce, aspro e rivoluzionario. Non c’è modernizzazione di linguaggio che tenga, di fronte alle antiche parole della Parola tramandata: «Io sono la via, la verità, la vita»; «Ama il prossimo tuo come te stesso»; «Alzati e cammina»; «Va’, vendi tutto quello che hai, vieni e seguimi», «Rimetti a noi i nostri debiti», «Guai a voi, ricchi», «Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo».

Qui non ci sono campi, non ci sono app. L’Evangelo, cioè Buona Notizia, resta breaking news anche oggi. Irrompe con l’icastica forza della semplicità, di metafore antiche, di idee spiazzanti e scandalose, che sono al tempo stesso dentro e fuori dal tempo: «Prendi la tua croce sulle spalle» ma anche «Il mio giogo è leggero, il mio peso è soave». «Il centuplo quaggiù e l’eternità», è la promessa.
Abbiamo troppa paura di invecchiare con le parole vecchie, ma le parole più vere restano quelle più antiche. Niente di nuovo sotto il sole. Passeranno le app, resteranno le apparizioni che ci cambiano la vita: l’amore, la morte, il dolore, il sogno, la paura, la rivoluzione.

La nostra contemporaneità distratta e affannata tra app, like e social network è descritta benissimo da un autore spagnolo: «Siamo sballottati di qua e di là come dai flutti o dal vento, ed ora ci attacchiamo ad una cosa, ora ad un’altra, lasciamo ciò che avevamo cercato e ricerchiamo ciò che avevamo lasciato, in un altalenante avvicendarsi di desideri e pentimenti. Questo perché dipendiamo sempre dalle opinioni degli altri, ci sembra migliore ciò che ha un gran numero di aspiranti e di elogiatori e non ciò che va lodato e ricercato per il suo intrinseco valore…».
Una fotografia perfetta di noi del duemilasedici. L’autore? Lucio Annèo Seneca, nato a Cordova intorno al 4. Avanti Cristo.

comments powered by Disqus