Referendum, vincono i no. Ma il Trentino è già cambiato

di Paolo Micheletto

Una frenata al Trentino che cambia. In pochi anni - possiamo prendere come data simbolo il 1° gennaio 2010 con l’avvio dei Comuni «unici» di Ledro e di Comano Terme - c’è stata una vera rivoluzione, all’insegna del risparmio, della razionalizzazione, della partecipazione. Basti pensare a un dato: dal 2009 si sono svolti ben 115 referendum per la fusione dei Comuni, segno di un confronto e di una prova di democrazia che non ha pari nel resto d’Italia. I fallimenti di ben sette referendum - nella giornata di ieri - dimostrano che il processo non è «maturo» in tutto il Trentino. Dalle consultazioni di ieri arrivano alcuni «stop» piuttosto clamorosi, come la mancata fusione in Val di Sole, quella tra Cavalese e Castello - Molina e quella tra Dro e Drena. Risultati a sorpresa, considerato l’esito dei precedenti referendum: hanno pesato soprattutto le contrarietà dei «piccoli».

Ma il cammino del superamento dei campanili non si può fermare. Vi ricordate quando, solo pochi anni fa, il numero dei Comuni sembrava un totem intoccabile? La storia è andata diversamente e oggi si può dire che l’obbligo di un numero altissimo di Comuni portava convenienza solo alla classe politica e agli amministratori, non ai cittadini.

Un territorio come il Trentino - specialissimo non solo perché può contare sullo Statuto di autonomia - può garantirsi un futuro all’altezza del presente solo se utilizza in maniera più razionale e funzionale le risorse. Molti Comuni hanno fatto la loro parte e ora vanno sostenuti. Ma serve un approccio razionale anche in molti altri comparti, come ad esempio la sanità, nella quale alcune scelte non possono più essere rinviate: più servizi in rete, professionisti che si spostano sul territorio e chiusura delle strutture dove i costi non sono più sostenibili.

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