Quando al Brennero Mussolini ordinò di fare la guerra con Hitler

Quando al Brennero Mussolini ordinò di fare la guerra con Hitler

di Luigi Sardi

È il 10 giugno del 1940. L’Italia esce da quella sorta di limbo che fu la “non belligeranza” e si schiera con la Germania di Hitler dichiarando guerra alla Francia ormai sul punto di venire travolta dalle armate tedesche e all’Inghilterra che si preparava a difendersi dalla minacciata invasione nazista.

Nevicava al Brennero quel lunedì 18 marzo del 1940 quando Mussolini incontrando Hitler decise che l’Italia fascista avrebbe combattuto le “plutocrazie” al fianco della Germania nazista. Decise proprio in quel giorno. Un uomo, un uomo solo, il dittatore, prese la decisione che gettò l’Italia nell’olocausto e causò la tragedia che costò al popolo italiano atroci sofferenze. Del resto era il Duce e la cronaca della giornata è fissata nei famosi Diari di Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini diventato a 33 anni Ministro degli Affari Esteri e in una lettera di Sumner Welles inviato del presidente Franklin Delano Roosevelt, in qualità di suo rappresentante personale a Londra, Parigi, Berlino e Roma allo scopo per “tentare di instaurare una pace giusta e duratura” in un’Europa ormai in fiamme.
 
Scisse Ciano. “Mussolini attende l’ospite con un senso di ansioso piacere: sempre più, in questi ultimi tempi, sente il fascino del Führer. I successi militari, i soli che Mussolini veramente apprezza e desidera, sono di ciò la causa. Nell’attesa, mi narra di aver fatto durante la notte un sogno che del futuro gli squarciò il velame. Ma non mi dice quale sogno sia. Racconta invece che gli è avvenuto altre volte. Quando ad esempio, aveva sognato di guadare un fiume, capì che la questione fiumana si avviava a soluzione”. Da ricordare che nel settembre del 1919, l’impresa di Fiume vide l’ occupazione della città – contesa tra il Regno d’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni – da parte di reparti ribelli del Regio Esercito. Lo scopo della rivolta era proclamare l’annessione della città al Regno, in aperto contrasto al dettato della Conferenza di Versailles. La spedizione fu ideata e condotta da Gabriele D’Annunzio, il poeta sempre in bilico fra la penna e il pugnale.
Ancora dal diario di Ciano. “L’ incontro con Hitler è cordialissimo da ambo le parti. Il colloquio è piuttosto un monologo, Hitler parla sempre, ma con più calma del solito: pochi gesti e voce pacata. Mussolini lo ascolta con simpatia e deferenza. Parla poco e conferma l’impegno di marciare con la Germania. Riserva solo la scelta del momento. Il colloquio conclude con una rapida colazione” nel vagone-salotto del treno del Duce.
C’è su quel giorno al Brennero un breve filmato del cinegiornale “Istituto Luce”. Si vede il treno che porta da Roma la delegazione italiana entrare nella stazione trainato da due  FS E.636 il nuovissimo locomotore delle ferrovie italiane. Il Duce, i gerarchi del seguito e in primo piano c’è Ciano, passano in rassegna il picchetto armato mentre da nord arriva il treno del Führer. Nevica forte, Mussolini e Hitler si salutano con particolare calore e Hitler sale sul convoglio del Duce. E questo gesto riempie Mussolini di orgoglio. Un colloquio di novanta minuti. Segnerà in maniera tremenda, con la storia d’Italia, quella del mondo intero.

Tutto era successo in fretta. Il 10 marzo Joachim von Ribbentrop, il Ministro degli Esteri della Germania nazista era arrivato a Roma. Annotava Ciano nel suo Diario: “L’incontro alla stazione è piuttosto freddo. Anche la folla, radunata a fatica dal Federale, manifesta con apprezzato senso di misura” e Ciano aggiunge che “la visita è molto impopolare in Italia” perché i nazisti sono molto impopolari. Poi aggiunge che “Ribbentrop in macchina, dice subito: tra pochi mesi l’esercito francese sarà distrutto ed i soli inglesi rimasti sul continente saranno i prigionieri di guerra”. Sollecita l’Italia a schierarsi in armi con la Germania. “Mussolini ascolta e si riserva di rispondere domani dopo aver meditato sulla lettera [ricevuta dal Führer] e sul colloquio. Ma subito si associa nell’affermare che il posto di combattimento del fascismo è a fianco del nazismo”.

Hitler aveva fretta, temeva che Mussolini guardando un po’ a Berlino ma anche a Parigi e Londra, preparasse un piano machiavellico quando accolse a Roma, e con un certo sfarzo, Sumner Welles il sottosegretario di Stato, uno di più ascoltati consiglieri del presidente Roosevelt. Fu proprio la presenza di Welles ad allarmare Hitler. Il sottosegretario era stato nelle capitali europee per proporre una riappacificazione e mettere fine alla guerra che stava per scatenarsi sul fronte dell’ovest. Hitler ebbe sentore che la visita nella capitale italiana avesse lo scopo di raffreddare i rapporti dell’Italia con la Germania e così inviò Ribbentrop dal Duce per proporre l’incontro al Brennero. Sfogliando in giornali di quei giorni ci si accorge che, per le direttive del Minculpop, il Ministero della cultura popolare all’epoca diretto da Gianfranco Pavolini, giornalista, fascista della prima ora, fondatore delle Brigate Nera nella Repubblica di Salò,  era stata abbandonata la tesi dell’equidistanza fra le nazioni in guerra per mettere in prima pagina i termini “asse” e “patto d’acciaio” ed esaltare i camerati tedeschi. La sorte dell’Italia si stava decidendo in quei giorni del marzo di 80 anni fa.

Da ricordare che una settimana dopo la tragica “notte dei cristalli” del 9 novembre del 1938 che scatenò l’orrore della furia nazista contro gli ebrei, il governo inglese dichiarò di essere disposto a rinunciare alla quota di cittadini britannici (65.000) autorizzati ad emigrare negli Usa per lasciare spazio agli ebrei in fuga dalla Germania. Welles si oppose alla proposta consegnando chissà quanta gente allo sterminio. Fallì anche nel tentativo di pace: a segnare il fallimento della diplomazia americana si impose da Berlino il dettato dell’ uomo che era già “il signore della guerra”.

Il Duce, scrive Ciano “sente il fascino di Hitler” anche se ha, nei confronti del Führer uno dei tanti moti di stizza. Infatti il 13 marzo Ribbentrop aveva telefonato a Palazzo Chigi chiedendo di fissare l’appuntamento al Brennero per il 18 e Mussolini “ha un moto di reazione dicendo: questi tedeschi sono insopportabili, non danno il tempo né di respirare né di riflettere e conclude dicendo che se l’incontro deve avere luogo, tanto vale farlo subito. Ma è nervoso. Aveva sin qui vissuto nell’ illusione che la guerra guerreggiata non si sarebbe mai fatta. La prospettiva di un cozzo imminente al quale lui debba restare estraneo lo indispone e, come confessa, lo umilia”. Hitler fissa il tempo dell’incontro: 90 minuti e vuole che la prima parte del colloquio si svolga a quattr’occhi col Duce. Il treno di Hitler sta per ripartire; sotto la pensilina della stazione del Brennero i due dittatori si salutano con gesti di totale amicizia; il Duce – riferisce Ciano – “è sempre più germanofilo. Ormai parla apertamente di entrare in campo a fianco della Germania e fissa anche la condotta di guerra: difensiva sulle Alpi per immobilizzare le armate francesi. Difensiva in Libia per trattenere gli inglesi. Offensiva aeronavale nel Mediterraneo. Dice: “Tenetevi pronti. Tra breve marceremo contro l’Occidente”. E’ convinto che la guerra sarà brevissima e gli italiani saranno contenti. Eppure Achille Starace il “sergente del fascismo” aveva già scritto al Duce che gli italiani non volevano la guerra e che “le condizioni interne del Paese sono precarie, quasi pericolose”.
(1. continua)

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