La Corona diventa Lira, Degasperi protesta e la censura lo assedia

La Corona diventa Lira, Degasperi protesta e la censura lo assedia

di Luigi Sardi

Fondato«Il Nuovo Trentino» il giornalista Alcide Degasperi si era trovato di fronte alla prima grossa «grana»: il dover raccontare il passaggio dalla corona alla lira con la valuta italiana come unica moneta a corso legale con il cambio al 40 per cento e il detto – ovviamente pronunciato a bassa voce – «Trentino redento al quaranta per cento».

La decisione era stata presa dal generale Pietro Badoglio e Degasperi aveva preparato un lungo articolo per rimarcare come le conseguenze economiche  dovute alla sconfitta austriaca non dovessero ricadere sugli italiani delle nuove provincie, colpiti dalla svalutazione della corona. Insomma, i fratelli trentini, con quelli triestini e dalmati, passata l’euforia del 4 novembre, si trovarono di fronte alla grama condizione di vedere i loro risparmi dimezzati.

L’articolo di Degasperi ha sei profondi segni della censura. A cominciare dal titolo «La conversione al 40%» cancellato dal censore; con la frase: «Non esitiamo a dire che il decreto, invocato da tutti come somma insistenza, farà», troncata mentre resta quella: «Per noi, cittadini italiani [con i risparmi racimolati  ai tempi dell’Impero] rappresenta economicamente un errore, politicamente uno sproposito madornale».

L’articolo spiega: «Il deprezzamento della corona austroungarica è la conseguenza del disfacimento della vecchia monarchia e della vittoria italiana. Ora quando s’è parlato di noi in confronto degli avvenimento del 3 novembre, ci si è messi sempre razionalmente e politicamente fra i vincitori. Gli stessi fattori attivi della vittoria ci hanno chiamato a partecipare al trionfo comune…», ma qui l’inesorabile bianchetto della censura ha tagliato quella frase che, probabilmente, era di protesta per l’ordinanza firma da Badoglio e avvallata da Francesco Saverio Nitti, deputato di lungo corso ( dal 1904 al 1922 ), Ministro del Tesoro dal 1917 al 1919 e capo del Governo fino ai giorni del fascismo.

La forbice del censore si avventa sull’articolo togliendo paragrafi e tagliando a metà le parole; «Il Nuovo Trentino» protesta - del resto Degasperi è già un giornalista di sicuro mestiere che nel 1914, nei primi mesi della guerra aveva avuto a che fare con la censura militare - scrivendo: «Se la censura non fosse, a Trento come in ogni altro luogo, affetta da quella caratteristica e insanabile ingenuità che tutti conoscono, si sarebbe dovuta risparmiare la briga di sopprimerci, nel giornale di sabato, parte delle nostre considerazioni  intorno al decreto che stabilisce il cambio della corona al 40 per cento…».

A questo punto la frase è troncata dalle forbici del censore.
Ma Degasperi non molla e con il titolo «Errori di psicologia» torna sull’argomento con un articolo che dimostra la scarsa capacità del Governo di Roma di comprendere le esigenze, anche psicologiche , della popolazione trentina (p.228 del secondo volume «Scritti e discorsi politici» di Mariapia  Bigaran e Maurizio Cau, ndr).  Il giornalista scrive: «Caro Trentino, sabato e ieri la censura militare ti ha imbiancato e i buoni trentini, i quali a giusto diritto si aspettano di trovare nelle tue amiche colonne la interpretazione dei loro sentimenti…».

Ma ecco la sforbiciata e il censore che, forse, aveva capito l’intensità del messaggio o per semplice sbadataggine , lascia frasi come questa: «Vinta gloriosamente la quarta guerra italiana, e suggellata col sangue dei combattenti e con le lacrime e col martirio degli irredenti l’unità della patria, il Trentino e la Venezia Giulia sono stati politicamente redenti. Che cosa doveva fare la madre con i suoi figli tornati al suo grembo? Aprir loro le braccia, stringerseli al cuore, interrogarli sui loro bisogni, provvedere che nulla loro mancasse; evitare, in altri termini che la schietta fervida gioia di tutti i cuori fosse anche leggermente amareggiata».

Le frasi di Degasperi, in momento che sembra più di occupazione che di declamata liberazione, sono dure: «Ci sarebbe bastato che la patria, interpretando bene l’animo  nostro, riconoscendo legittima la nostra bramosa ansia di vivere e di progredire in libertà e giustizia, ci avesse accontentati,  trattandoci  alla stregua di figli maggiorenni, anche e specialmente agli affetti economici-finanziari. Invece? Invece gli amministratori generali di Roma non hanno saputo leggerci nell’animo, non hanno saputo interpretare i nostri bisogni reali: si sono dimostrati non cattivi, ma pessimi psicologi».

C’è lo spazio bianco della censura e la penna di Degasperi aggiunge:  «A un popolo redento che credeva di poter, finalmente, correre nei fioriti giardini della libertà a rinnovare l’aria dei suoi polmoni, la censura assegna il temporaneo domicilio in una serra artificialmente calda e sapientemente limitata, dove manca l’ossigeno e le gambe si rattrappiscono nella immobilità». C’è ancora il bianco della censura in un articolo che  mostra come la stampa e il libero pensiero siano relegati  in prigione.

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