Ore contate per Moro

Ore contate per Moro

di Luigi Sardi

Dissero a Moro che lo avrebbero ucciso perché gli uomini, anzi di «amici» del suo partito non avevano voluto trattare lo scambio: tredici prigionieri legati alle Br, e alcuni di loro erano banditi politicizzati in carcere, liberi e trasferiti magari in Libia per Aldo Moro vivo. Gheddafi, il presidente della Libia, aveva convocato l’ambasciatore d’Italia a Tripoli e nell’incontro, ripreso dalla televisione, aveva dichiarato la propria condanna al terrorismo delle Br e la sua disponibilità ad ogni intervento, utile a salvare la vita dell’ostaggio. Si era detto disposto ad accogliere in Cirenaica le persone indicate dai brigatisti. Anche Castro si era dichiarato pronto ad accogliere a Cuba i brigatisti. Poi si era saputo che gli americani non avrebbero gradito la presenza di terroristi rossi italiani nell’isola della rivoluzione.

Il capo delle Brigate Rosse Mario Moretti aveva già telefonato alla famiglia Moro spiegando con tono molto cortese che solo un intervento «immediato e chiarificatore» del leader della Dc Zaccagnini avrebbe impedito l’uccisione dell’ostaggio. C’era stato un colloquio decisamente drammatico tra Benigno Zaccagnini e i familiari del presidente rapito, quando il segretario della Dc, finito il vertice dei capi del partito a piazza del Gesù – un incontro tesissimo e duro – era andato da Eleonora Moro e dai suoi figli a riferire che la Democrazia Cristiana era ferma nel rifiuto di ogni trattativa con i terroristi.

Ecco il momento della rottura totale tra la famiglia del leader da una parte e dall’altra il governo sostenuto dalla maggioranza del partito. Si parlò persino del funerale: la famiglia Moro disse di non volere quelli di Stato né la presenza di uomini della politica e nel partito, da tempo chiamato «balena bianca».

Dal canto suo, Bettino Craxi leader del Partito Socialista aveva indicato a Zaccagnini i nomi di due detenuti che potevano essere graziati. La brigatista Paola Besuschio che a Trento, nella facoltà di Sociologia, aveva conosciuto Renato Curcio e Margherita Cagol e ferita in uno scontro a fuoco, era stata ricoverata nell’ospedale Santa Chiara e il nappista Alberto Buonoconto.

Era in corso la campana elettorale per le amministrative, ma i comizi erano semideserti e forse cominciò in quei giorni del maggio di quarant’anni fa, il crescente distacco degli italiani dai partiti tradizionali. Gli uomini della politica – le donne erano numericamente una insignificante minoranza – non capirono l’andazzo e nella Dc l’atteggiamento della famiglia che, ovviamente, non voleva accettare il dettato di Zaccagnini, venne considerato una «mina vagante» mentre nel quadro della vicenda si radicò la convinzione che i familiari e gli amici di Moro – fra di loro Amintore Fanfani – avevano stabilito un contatto con i terroristi.

Si capiva che il sequestro non poteva durare altro tempo; il giornale «la Repubblica» pubblica un articolo a tutta pagina dal titolo «Ultimo sos per Moro» e l’appello di Amnesty International scrivendo che «a Piazza del Gesù si ha la certezza che si stanno vivendo le ore decisive della tragedia Moro».

Le notizie filtrano con difficoltà anche se i massimi esponenti del partito siedono in continua riunione alla quale partecipa anche Willy De Luca, all’epoca di massimo dirigente della Rai. L’antico palazzo Bolognetti, sede della Dc, è diventato un bunker presidiato dai Bersaglieri che imbracciano i mitragliatori. Ricordava Flaminio Piccoli che l’aria era «d’angoscia» e dopo quella parola si chiudeva nel silenzio. Insieme a Zaccagnini c’erano Galloni, De Mita, Andreotti, Cossiga, personaggi che nel corso degli anni si erano variamente disputati il potere e talvolta i loro dissidi si erano trasformati in scontri violenti e in alcune occasioni addirittura furibondi.

Come scriveva Eugenio Scalfari aggiungendo: «Siedono l’uno accanto all’altro, accumunati dalla cattiva sorte; le vecchie correnti, tante volte date per morte sulla carta, sono state cancellate da un gigantesco colpo di spugna, perché questa volta la crisi è veramente tremenda, non consente lussi, divagazioni, margini, giochi personali». Scrive ancora «la Repubblica» quel titolo da brivido: «Ore contate per Moro».

Anni davvero decisivi quelli dal 1969 al 1978, dalla strage di Piazza Fontana a quella di via Fani. Il Paese era infestato dal terrorismo mentre viveva la prima grande recessione dopo gli anni del boom; il Pci rischiava il sorpasso della Dc e il segretario comunista Enrico Berlinguer sosteneva di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato. Anche il 18 aprile del 1948 Palmiro Togliatti non se la prese troppo per la sconfitta del suo partito. Anche lui si sentiva più tranquillo sotto l’ombrello americano che all’ombra dei baffoni di Stalin. Intanto nel covo, i brigatisti preparavano il sesto omicidio. Poi qualcuno di loro disse che non voleva la morte di Moro.

(otto - continua)

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