Aldo Moro, ricordi trentini

Aldo Moro, ricordi trentini

di Luigi Sardi

Walter Veltroni scriveva su “la Repubblica” di domenica 16 marzo 2008 quell’ “oggi vorrei ricordare non quella tragedia che colpì l’Italia, ma quell’uomo, quel politico così straordinario. Il mondo è pieno di uomini politici che ti spiegano le cose già accadute, ma uomini politici che hanno il coraggio di spostare in avanti il loro mondo, di vincere delle resistenze, di sfidare l’impopolarità, sono sempre più rari”. Uomini come Aldo Moro capaci di una costruzione progressiva di equilibri, di svolte non affidate alle decisioni di un giorno e di alleanze non dettate dalla voglia di conservare la “carega” per dirla alla trentina, appartengono ad un passato ormai remoto.Quelli erano personaggi che entravano in punta di piedi nella politica, sorretti da un solido bagaglio culturale. Due esempi: Alcide Degasperi e Palmiro Togliatti che dopo il 25 aprile del 1945 presero per mano l’Italia umiliata dal fascismo e uscita dall’ombra di una guerra perduta. L’uomo venuto dal Tesino parlava il tedesco, l’inglese, leggeva Virgilio in latino e Senofonte in greco; Togliatti l’uomo venuto da Mosca che parlava alla perfezione il russo e scriveva i suoi discorsi in cirillico, quando nel luglio del 1948 gli spararono sulla soglia di Montecitorio, per dimostrare al chirurgo Pietro Valdoni che stava benino, parlò in latino e il medico gli rispose con la lingua delle Roma antica.

Ricordo Moro quando arrivava nello splendore della valle di Fiemme dove si era costruito una casa. Si sapeva che non avrebbe permesso domande su temi politici, né i cronisti erano quella massa, oggi usa circondare il leader del momento con muri di microfoni per captare un improbabile guizzo capace di suscitare interesse e di cineprese per immortalare uno strambo sorriso. Moro si presentava puntuale nel luogo e nel momento designato. Vestiva con sobria eleganza, il nodo della cravatta perfetto, il volto assorto. “Sono qui per riposare, meditare, riflettere” e poi aggiungeva “per non sentire squillare i telefoni” facendo capire, con un tenue sorriso, che non era il trillare ad infastidirlo, ma il vociare degli interlocutori. Arrivavano i personaggi della Dc trentina: Luigi Dalvit, Giorgio Grigolli, Luciano Azzolini che portava a Predazzo – il borgo dove Moro dimorava – uno strudel fatto dalla sua mamma, Bruno Kessler, il giornalista Rocco Rino Perego de L’Adige con il fotografo Giorgio Rossi e da Bolzano gli uomini della Svp con Silvius Magnago. Brevi incontri, scambi di auguri: si rispettava il riposo del leader. Poi ogni 19 agosto era a Trento nella chiesa di San Lorenzo e ai piedi del monumento, da tempo dimentico, a ricordare e celebrare Alcide Degasperi e salutare donna Francesca arrivata in città dall’eremo di Sella in Valsugana.

La prima presenza significativa di Moro come Presidente del Consiglio nel Trentino, risale al 4 gennaio del 1965 quando incontrò due operai della Sloi, la velenosa fabbrica del piombo tetraetile (il dismesso additivo della benzina super, ndr) indicati come portavoce degli operai in sciopero non per chiedere aumenti salariali e diminuzioni delle ore di lavoro ma garanzie per la salute gravemente minata dai veleni. Era quella una dura vertenza sindacale che aveva visto il forte impegno del socialista Nereo Manica, del comunista Sergio De Carneri, dei sindacalisti Lelio Lodi, Ugo Panza e Giuseppe Mattei. Lunghissima, aspra quanto storica battaglia sindacale caratterizzata dall’interessamento dell’allora ministro alla sanità attivato dal sottosegretario Orlando Lucchi di Riva del Garda e dall’onorevole e avvocato Renato Ballardini. Moro, informato, accettò immediatamente di incontrare i due operi designati: Mario De Rio e Mario Zeni. Noretta Chiavarelli, la moglie di Moro, preparò il caffè. Il presidente ascoltò, domandò, prese appunti. Ma non riuscì a smuovere il baluardo della Confindustria dell’epoca. Ecco Moro il 12 luglio del 1966 nel Castello del Buonconsiglio a commemorare la figura di Cesare Battisti. Fu una lezione magistrale, in verità non prolissa come i suoi consueti discorsi, con frasi come “Trento lo vide morire con dignità di chi scorge la vita oltre la morte… testimone dell’ideale, sacerdote e vittima di un supremo sacrificio”. E ancora: “Gli uomini grandi restituiscono sempre verità alle parole che meritano di averla”. Un epitaffio divenuto tragicamente attuale il 9 maggio del 1978 quando venne assassinato dalle Brigate Rosse dopo quei 55 giorni di prigionia.

Eccolo nel Trentino in Valsugana e nel Primiero nei giorni tragici dell’alluvione quasi a segnare, con la sua presenza, la grande svolta che segnò la rinascita del Trentino dal cataclisma di fiumi, torrenti e ruscelli impazziti. Eccolo a Maso, Ischiazza, Casatta in Valfloriana, Strigno, Villa Agnedo e poi il 30 dicembre di quell’anno a Mezzano, Imer, Fiera di Primiero, Tonadico, Transacqua e ancora a Scurelle. Attento scrupoloso, domandava, si informava e mangiò un panino che gli veniva offerto da una donna che stava spalando sulla soglia della propria abitazione a Mazzano, il fango indurito dal gelo. Lo videro bere un bicchiere di Teroldego assieme a Bruno Kessler. Lo videro abbracciare la vedova di un vigile del fuoco volontario. Eccolo a palazzo del Commissario del Governo incontrare i sindaci dei paesi devastati dall’alluvione; a Predazzo con il sindaco di Bolzano Giancarlo Bolognini e si narra di un incontro riservato con Magnago sul tema, all’epoca spinoso, dell’Alto Adige.

Anche per la sua costante presenza nel Trentino la tragedia di via Fani aveva colpito profondamente la collettività che rimase scossa al famoso appello di Papa Paolo VI. “Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile, l’onorevole Aldo Moro….”. La Radio Vaticana trasmise sei volte, durante la giornata, l’appello del Pontefice, tradotto in venti lingue. Ma le Br consideravano la Chiesa una forza politica secondaria e il Papa un interlocutore non valido”. Come disse Valerio Morucci intervistato da Sergio Flamigni, per 19 anni parlamentare del Pci e componente della Commissione d’inchiesta sul caso Moro che confermò che la strage fu commessa solo dai brigatisti della “colonna” romana.

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