La Rosa dei venti ha spine in Alto Adige?

La Rosa dei venti ha spine in Alto Adige?

di Luigi Sardi

L’inchiesta sull’attentato alla stazione del 30 settembre 1967 ebbe un’improvvisa quanto incredibile svolta quando il pubblico ministero Gianfranco Iadecola indagando sugli attentati commessi a Trento su quanto accaduto il 30 luglio del 1970 alla Ignis di Spini di Gardolo quando sue esponenti del Msi – l’avvocato e consigliere regionale Andrea Mitolo di Bolzano e il sociologo Gastone Del Piccolo segretario provinciale della Cisnal erano stati presi in ostaggio e menati, per ore, per le vie della città – scoprì una regia firmata da uomini del Sid, il misterioso servizio segreto dell’epoca.

Raccogliendo i fascicoli relativi agli attentati compiuti, il cancelliere Luciano Bertoneri ne trovò uno di straordinario interesse. Si riferiva ad una valigia contenente 12 chili di esplosivo abbandonata sul diretto Roma-Monaco di Baviera e fatta trovare a Fortezza domenica 30 luglio 1967, quindi 60 giorni prima della valigia-bomba che assassinò Edoardo Martini e Filippo Foti alla stazione di Trento. Proprio quel 30 luglio era stata indetta,a  Bolzano, l’adunata del «comitato nazionale tricolore per l’Alto Adige», sigla sconosciuta e mai più riapparsa né a Bolzano né altrove, ma che aveva calamitato nel capoluogo sudtirolese decine di persone in camicia nera. I manipoli era calati di buon mattino nel centro della città per prendere parte alla radunata. C’erano stati comizi infuocati, l’immancabile schieramento davanti al Monumento alla Vittoria, il canto di Giovinezza, il saluto al Duce, gli “eja,eja, alalà” e altre grida.

Proprio quella mattina quattro guardie della polizia tributaria, salite a Bolzano alle 8,30 sul diretto 68 che, partito da Roma era diretto a Monaco, avevano notato sul ripiano portabagagli di uno scompartimento di seconda classe, una valigia di fibra. Su quel treno c’erano centinaia di valigie, ma solo quella aveva attirato l’attenzione degli agenti. Avevano chiesto a chi appartenesse, ma non avendo trovato il proprietario, l’avevano scaricata alla stazione di Fortezza.

Erano quasi le 10, faceva un gran caldo e dalla valigia rimasta esposta al sole, cominciava a colare uno strano liquido giallastro. Era l’esplosivo che si disfaceva. Venne chiamato un artificiere, la valigia venne pesata, fotografata, portata in un luogo appartato e fatta brillare. Un boato tremendo e sul terreno rimase un cratere del tutto simile – certamente tutti i crateri causati da un’esplosione si assomigliano, ma la coincidenza è davvero inquietante – a quello che due mesi più tardi si aprirà fra i corpi di Foti e Martini. L’indagine si arenò quasi subito e il fascicolo finì negli archivi dove venne «riesumato» dall’inchiesta del pubblico ministero Iadecola.

Appunto Iadecola dimostrò, prima di venire trasferito urgentemente in altra sede, che la valigia piena di esplosivo, caricata sul treno diretto al Brennero, era stata segnalata da un altoatesino al soldo dei servizi segreti.

È giudiziariamente provato che l’informatore telefonò ad un sottufficiale delle Fiamme Gialle, in forze all’Ufficio I (ove I sta per informazione), informandolo che sarebbe partita dalla stazione di Bolzano, con il treno n.68, una valigia piena di esplosivo. Che venne trovata, scaricata dal convoglio, tenuta in bella mostra per un  po’ di tempo e fatta esplodere. Viene subito in mente l’Alpen Express che due mesi dopo sferraglia da Innsbruck a Trento e quel giovanotto biondo – chissà se anche l’informatore 50 anni fa era biondo, come si narrò – che fa di tutto per farsi notare e la valigia abbandonata, poi finita nelle mani di Martini e Foti.

Al soldo dell’«Ufficio I» con «fonte Umberto» come nome di copertura, aveva segnalato ripetuti passaggi di esplosivi attraverso il confine italo austriaco, ma l’inchiesta si fermò lì. Invece fece molto scalpore un articolo del giornalista Piero Agostini pubblicata sulla rivista «Tempi e  Cronache» dal titolo «La Rosa dei Venti ha spine in  Alto Adige?» dove si ipotizza che la cosiddetta «strategia della tensione» godeva di autorevoli protezioni negli ambienti del Sid.

Ma non si indagò. Non si accertò. E si archiviò. Chissà se la verità sul duplice omicidio alla stazione di Trento è occultata fra i petali avvelenati di quella «Rosa» della quale si è persa, ormai, la memoria.

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